"Aree contigue, la sola attività venatoria non basta"
Le soluzioni di Costa su come gestire i danni provocati al territorio ed alle sue attività dai numerosi cinghiali
In riferimento al provvedimento di temporanea sospensione della validità delle aree contigue nel Parco di Portofino, finalizzato ad un più efficace contenimento dei danni provocati al territorio ed alle sue attività da una sovrappopolazione di cinghiali, Federparchi esprime alcune considerazioni, fondate sulla lunga esperienza gestionale di situazioni analoghe.
La riflessione
Scrive Roberto Costa, coordinatore Liguria Federparchi Europarc e vicepresidente Ente Parco Antola:
"Nell’accezione internazionale l’area contigua, la cosiddetta “buffer zone”, è una zona limitrofa al perimetro del parco, di transizione fra il parco e il territorio circostante, ed in cui sono previste alcune norme di salvaguardia, meno stringenti di quelle che regolano i parchi; in Italia le “aree contigue” sono previste dalla legge 394/91, e la proposta di aggiornamento della legge proposta da Federparchi e mai giunta alla approvazione del Parlamento nella XVII legislatura ne conteneva significative modifiche; di queste la più rilevante era, come ovunque a livello mondiale, che le regole di queste ultime le stabilisse l’Ente parco, che ha le precise conoscenze su quali siano le esigenze prioritarie per la biodiversità che deve tutelare e, in base a tali indicatori, decide una regolamentazione anche nell’area contigua.
In Italia non è così. Nelle aree contigue l’Ente gestore dell’area protetta deve limitarsi ad una mera indicazione di indirizzo, mentre sono altri i soggetti che le devono normare e il principale ostacolo alla diffusione delle aree contigue nei parchi deriva da una controversa applicazione delle norme relative all’attività venatoria. Inoltre, le aree contigue erano state immaginate nel 1991, quando il numero di cacciatori era ben più elevato e quando non esisteva ancora la L.157/92 che, di fatto ha sostituito la residenza anagrafica con quella venatoria.
Accanto a questa considerazione, Federparchi ritiene utile però anche chiarire qualche concetto sull’efficacia dell’attività venatoria come metodo di controllo della fauna, tra cui gli ungulati ed in particolare il cinghiale rappresentano oggi un grande problema. I danni derivanti da un’alta densità di cinghiali alla biodiversità, difficilmente quantificabili dal punto di vista economico, sono comunque significativi, e riguardano la vegetazione e la cotica erbosa, gli uccelli, soprattutto quelli che nidificano a terra, e gli invertebrati, che sono la base alimentare di molti passeriformi; quelli alle attività economiche, come denunciato dalle associazioni agricole, sono dell’ordine di centinaia di milioni di Euro ogni anno in Italia.
Partendo dalla valutazione di un numero eccessivo e di una densità troppo elevata di cinghiali sul territorio, con danni all’agricoltura ed alle infrastrutture tanto nelle campagne quanto, ultimamente, in aree urbane, con conseguenti rischi per la popolazione e, recentemente, con l’espandersi dell’epidemia di peste suina, i metodi di contenimento generalmente più efficaci, soprattutto se integrati fra loro, sono risultati la cattura con gabbie previo foraggiamento, e l’abbattimento selettivo, che possono essere e vengono costantemente praticati, è bene sottolinearlo, anche dagli stessi Enti parco ed anche all’interno delle aree protette, ovviamente in forma programmata e controllata.
Nel caso di Portofino pare invece che si sia scelta una estensione dell’attività venatoria alle aree contigue, congelandone di fatto l’esistenza, rispetto a cui manifestiamo le nostre riserve.
Alla base di questa scelta sta il fatto che i cinghiali sono troppi, vanno ridotti, e chi li abbatte sono i cacciatori (teoria vista con favore in ambito venatorio e dalle Regioni). Tuttavia, l'attività venatoria non riduce la specie di cui si va a caccia, ma tende a mantenerla in numero costante, o addirittura aumentarne la consistenza, senza farla diminuire negli anni.Per quanto esposto, Federparchi ritiene poco efficace la scelta di affidarsi all’attività venatoria per ridurre consistenza e densità dei cinghiali, valutando invece più utile praticare una attività mirata di controllo, sulla base di piani dettagliati di iniziativa pubblica ai quali possono partecipare anche i cacciatori, col ruolo di selecontrollori.
Tale modalità è comunemente praticata in molti parchi italiani con risultati quantitativamente e qualitativamente ragguardevoli e Federparchi mette a disposizione queste buone pratiche in materia qualora le Istituzioni locali ritengano di servirsene".