L’aggiornamento

Per la Procura il crollo del cimitero di Camogli non mise in pericolo vite umane

Chiesta l’archiviazione per gli indagati: area interdetta e nessun pericolo per le persone secondo le perizie tecniche

Per la Procura il crollo del cimitero di Camogli non mise in pericolo vite umane
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Non ci fu rischio per la pubblica incolumità nel tragico crollo che, il 22 febbraio 2021, provocò lo sprofondamento in mare di una porzione del cimitero di Camogli, con la conseguente caduta di circa 415 bare tra le onde. È questa la conclusione a cui è giunta la Procura di Genova, che ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta aperta per frana colposa.

Tutti i dettagli

Sotto indagine erano finite cinque persone: tre ex sindaci della cittadina – Francesco Olivari, in carica al momento dell’evento, e i suoi predecessori Italo Salvatore Mannucci e Giuseppe Maggioni – insieme a due funzionari comunali dell’ufficio Lavori Pubblici.

Gli indagati sono assistiti dagli avvocati Massimo Boggio, Emanuele Olcese, Gianluca Sacco e Guido Mottola. Ora spetterà al giudice per le indagini preliminari stabilire se accogliere o meno la richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero Fabrizio Givri.

La ricostruzione dei fatti, basata anche sull’incidente probatorio e su una consulenza tecnica del 2023, ha evidenziato come la zona del crollo fosse interdetta all’accesso già dal giorno precedente, a seguito dei primi segnali di instabilità. Anche l’area marina sottostante risultava già interdetta alla balneazione da una precedente ordinanza della Capitaneria di Porto, il che ha escluso la presenza di persone nella zona al momento della frana.

Determinante, per la Procura, anche la perizia condotta dalla professoressa Donatella Sterpi del Politecnico di Milano e dalla dottoressa Francesca Franchi, secondo cui il cedimento fosse “prevedibile sin dal 2008” e “tecnicamente evitabile fino al maggio 2019”. Tuttavia, le misure adottate nelle ore precedenti al crollo sarebbero state efficaci nel prevenire conseguenze sulle persone.

Le criticità strutturali dell’area non erano ignote: già nei primi anni 2000, studi geologici e segnalazioni dei cittadini avevano messo in luce la presenza di crepe e fessurazioni nei muraglioni della falesia. Un approfondimento tecnico affidato nel 2008 all’Università di Genova aveva confermato lo stato di vulnerabilità del sito.

Ad oggi, sono state recuperate 365 salme, ma soltanto una minima parte è stata possibile identificare con certezza, grazie alle analisi del DNA.