Appuntamento per venerdì 24 alle 17 in sala Presidenziale della Società Economica di Chiavari, in via Ravaschieri 15, per parlare di tradizione con l’antropologo Paolo Giardelli.
L’incontro
Sarà la tradizione, ossia la trasmissione da una generazione all’altra della memoria di eventi, usanze, superstizioni, e quant’altro appartiene al patrimonio immateriale di una comunità, l’argomento che verrà dallo studioso genovese che ha dedicato alcuni decenni della sua vita a raccogliere ricordi e testimonianze nei paesi dell’entroterra.
La memoria ritrovata
L’opera meritevole da lui compiuta è documentata da numerose sue pubblicazioni, l’ultima delle quali – La memoria ritrovata – sarà presentata durante l’incontro unitamente a un fascicolo della “Tigullia”, la sezione chiavarese dell’Istituto di Studi Liguri, dal titolo “Voci del passato”, nel quale è compreso anche un intervento di Renato Lagomarsino sulle interviste raccolte negli anni 1961-62 assieme a Leopoldo Cimaschi.
I racconti di tante persone nate sul finire dell’Ottocento o ai primi del Novecento possono oggi essere considerati dei veri e propri reperti storici, alla stregua dei materiali archeologici esposti nei musei. La trasmissione dei ricordi dai vecchi ai giovani come avveniva un tempo è infatti cessata, e fra le generazioni si è creata, sotto questo profilo, una frattura ormai incolmabile.
La profonda trasformazione iniziata subito dopo la seconda guerra mondiale nella vita degli abitanti delle aree interne, in gran parte e da tempi immemorabili dediti all’agricoltura e all’allevamento, ha avuto come conseguenza l’abbandono non soltanto delle terre coltivabili ma anche di un insieme di usanze ancestrali.
Quando, nel 2006, Giardelli ha voluto fare una riprova dal vivo andando con Lagomarsino negli stessi paesi dove erano state fatte le interviste negli anni Sessanta per verificare quanto si fosse conservato delle memorie dei vecchi di allora, ha dovuto constatare che gran parte era andato perso, anche se, come scrive, “nei primi anni Duemila le braci di quelle memorie non si erano ancora del tutto spente sotto la cenere del tempo”.
Questo “patrimonio immateriale”, del quale le due pubblicazioni testimoniano una presenza diffusa e radicata sul territorio, non fa più parte della memoria collettiva, cancellata dai cambiamenti epocali che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, iniziati alla metà del Novecento. Pertanto ascoltare dalla voce di chi si è dedicato alla ricerca di questo patrimonio con interviste fatte in anni ormai lontani, sarà come compiere un viaggio a ritroso nel tempo, fra usanze, riti e credenze che in qualche caso appaiono persino incredibili.
L’autore
Paolo Giardelli (Genova 1951) è uno studioso delle tradizioni delle comunità rurali, autore di libri, articoli e filmati che hanno ottenuto importanti riconoscimenti in Italia e all’estero, e nei quali ha riunito le testimonianze raccolte tra i monti dell’entroterra ligure, un mondo che oggi non c’è più, finito per sempre e impossibile da ricreare.
Delle sue pubblicazioni ricordiamo in particolare “Il cerchio del tempo: le tradizioni popolari dei Liguri”, “Si comincia da una figlia”, “Domanda al vento che passa: malocchio e guaritori”, “La paura: lupi, licantropi, streghe e fantasmi”, nonché il recente “La memoria ritrovata”.
Per dare idea dei ricordi che ancora erano vivi cinquanta-sessant’anni fa riportiamo alcuni brani delle interviste fatte negli anni 1961-62:
Cure alternative
“Le taagnè (le ragnatele) venivano adoperate per fermare il sangue di una ferita” – “Il fondo della pipa serviva come contro-veleno e disinfettante” – “Per l’influenza veniva affogato in un bicchiere di vino un chiodo scaldato nella brace, si copriva il bicchiere con la mano aspettando che il vino finisse di bollire e poi si beveva” – “Se uno aveva il fuoco selvatico (il “fuoco di Sant’Antonio”) si prendevano delle nocciole, si masticavano bene e poi si sputavano per tre sere di seguito sulla parte malata”. Questi sono soltanto alcuni dei rimedi, ma ve n’erano altri, tra i quali quello dei “nove ferri” per guarire dall’erisipela, un’infezione cutanea, e la cura del bestiame con l’erba dragunn-a (la dragonaria), un rimedio portentoso.
Il pranzo di nozze
“Pranzo di nozze? Non se ne parlava nemmeno. Mia suocera – racconta una di Romaggi – mi aveva preparato un bottiglione di vino sulla tavola, una fila di salame e del pane. Mi sono seduta e ne ho mangiato un poco. Poi mi sono cambiata e sono andata nella stalla per stare dietro alle bestie”.
L’incontro con una persona morta
Ma c’erano anche superstizioni che avevano a che fare col mondo dei morti, come in questo racconto: “Le pietre di confine, i termini, sono sacri, non si debbono spostare. Chi li sposta per sottrarre un pò di terreno al vicino dovrà andare a rimetterli a posto dopo morto”.
“A questi proposito – racconta un’intervistata – mia nonna mi aveva detto che una sera aveva sentito parlare suo marito fuori dalla porta di casa. Quando poi è entrato gli ha chiesto: con chi parlavi? dove sei stato? E lui: ho incontrato il tale e mi ha chiesto se potevo aiutarlo a sistemare un paio di termini…. – Ma che cosa dici: non sai che è morto? – No, non lo sapevo – Te lo dico io: è morto da due settimane – Eppure l’ho trovato qui fuori e mi ha chiesto di andare con lui per aiutarlo a mettere i termini e io sono andato. Allora vuol dire che….. ho parlato con un morto….? – Gli è venuto uno spavento tale che dopo qualche giorno è morto anche lui. Era mio nonno. Ma io non l’ho conosciuto”.
