A tu per tu con Feresin, il pittore architetto innamorato di Chiavari
Una città insolita e affascinante, quella raffigurata dall’artista, che ama dipingere su più strati

Il nostro viaggio nell’arte di Eugenio Feresin parte da due quadri, esposti in questi giorni al Caffé Latteria di via Rivarola che ci mostrano una Chiavari insolita, affascinante ed emozionante. Spinti dalla curiosità, abbiamo voluto incontrarlo.
Il personaggio
Feresin, architetto e pittore, è nato a Milano l’8 dicembre 1977, e da quest’anno si è trasferito definitivamente a Chiavari.
Eugenio, raccontaci il tuo percorso artistico.
"Sin da giovanissimo mi sono appassionato al disegno, osservando i capolavori dell’arte moderna. Durante il periodo della scuola secondaria ad indirizzo artistico ho approfondito la pittura e la scultura realizzando anche alcune opere su commissione per diversi istituti di Milano e Firenze. Dopo ho proseguito il percorso di studi artistici all’Accademia di Brera, un percorso che ho dovuto lasciare per dedicarmi totalmente agli studi in Architettura, è seguita la laurea magistrale ed il titolo professionale".
Il tuo mestiere di architetto non ti ha impedito di coltivare la passione per l’arte.
"Sì, ho proseguito come autodidatta gli studi artistici in parallelo a quelli di architettura, in un reciproco scambio di spunti e suggestioni. A Milano ho esercitato prevalentemente la professione di architetto, collaborando a progetti di respiro internazionale con studi come Stefano Boeri Architetti e Giussaniarch. Nel 2018 ho vinto il 2° premio pittura al 23° concorso nazionale d’arte contemporanea indetto dalla galleria Satura di Genova, con la quale oggi collaboro partecipando a varie esposizioni e pubblicazioni".
Poi da gennaio di quest’anno ti sei trasferito nel nostro Tigullio: perché questa scelta?
"Perché Chiavari da sempre mi affascina. Sono arrivato qui con la mia famiglia e sono stato subito “contaminato” da un ambiente artistico vivacissimo: vedere all’opera e parlare con così tanti artisti appassionati, da Franco e Jacopo Casoni a Raffaella Vernazza sino a Luigi Copello, per citarne alcuni, mi ha fatto “riaccendere la fiamma” e così ho cominciato a ridisegnare, creare, ripensare".
Hai due anime, quindi, da una parte architetto, dall’altra artista figurativo. Cos’è per te l’arte?
"E’ una ricerca, continua. Non mi interessa tanto raffigurare un oggetto - che sia un luogo o una persona -, ma Come si pone intorno alle cose che stanno. Il mio intento non è di raffigurare qualcosa, ma l’atmosfera che essa genera".
Qual’è il tuo metodo di lavoro? La tua arte è istintiva o frutto di riflessione?
"Lavoro su strati, sulla materia: i miei quadri sono “spessi”, nel senso che nascono da tanti passaggi, da materia su materia. Sovrastrutture, che alla fine portano ad una sintesi, all’essenza di quello che voglio trasmettere. Uso pastelli ad olio, gessetti, acrilici, carboncini. Come base anche una semplice carta da pacchi. Un’opera può rimanere lì per mesi, anche un anno, poi quando ho l’idea, la concludo. Prendo spunto da ciò che mi sta intorno, poi magari lo fotografo, cerco di cogliere quello che mi trasmette e poi dopo, in studio, lo rielaboro".
Quest’anno hai partecipato a diversi progetti, vincendo anche l’estemporanea di pittura tenutasi in occasione della 35^ Expo. Prossimi progetti?
"Ora ad ottobre, a partire dal 5, al Museo dei damaschi Lorsica esporrò una mostra dedicata ai Mori, un susseguirsi di volti e di storie personali che portano a interrogarci sulla nostra esistenza. Poi, si vedrà".
Claudia Sanguineti


