PROFESSIONI NUOVE

«Il mio lavoro? Ridare dignità a chi è morto»

Irene Mele ci parla della tanatoestetica, una disciplina poco nota

«Il mio lavoro? Ridare dignità a chi è morto»
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«Tutto è iniziato quando nel 2015 è mancata mia nonna, la persona più importante della mia vita: quando sono andata a trovarla in camera mortuaria, non la riconoscevo. Ho avuto il mio primo attacco di panico e mi sono resa conto che il non riconoscerla non mi aveva fatto rielaborare il lutto. Così mi è scattato qualcosa dentro, trasformare la mia professione, truccatrice professionista, in qualcosa di più». A raccontare la sua esperienza è Irene Mele, 39 anni, dipendente dell’agenzia funebre Gianelli, con sedi a Chiavari e a Genova.

La tanatoestetica

Da alcuni mesi Irene ha portato nell’azienda dove lavora un nuovo modo per prendersi cura dei defunti e offrire loro dignità.

«Dopo quanto successo a mia nonna, ho fatto un po’ di ricerca e ho scoperto che esiste una tecnica nata in Europa, chiamata tanatoestetica, una disciplina che comporta varie pratiche e che è una vera e propria professione. Ho quindi frequentato un corso ad hoc. In Italia siamo ancora indietro su questo. Senza presunzione e con tanta umiltà, ad avere conseguito il diploma ufficiale qui in Liguria siamo in tre. Purtroppo in Italia questa professione non è ancora riconosciuta ufficialmente dal Contratto Collettivo, pensi che per approfondire ulteriormente questa tecnica sono dovuta andare in Spagna, a Barcellona, dove ho seguito un corso di aggiornamento sulla ricostruzione post mortem. Inoltre in Italia alcuni aspetti della tanatoestetica sono vietati, come l’asportazione dei liquidi e dei gas di putrefazione dalla salma con mezzi invasivi».

Ma approfondiamo meglio questa tecnica:

«Il servizio consiste nella preparazione e nella vestizione della salma - ci spiega - si cerca in sostanza di rallentare il processo di decomposizione, anche con la pulizia dei cavi orali, e poi il tutto viene terminato con un intervento di camouflage e trucchi correttivi. Include il lavaggio del corpo e dei capelli, oltre alla vestizione accurata della salma. Più volte mi è capitato di togliere cateteri, o fare un massaggio in una determinata zona per far fluire il sangue depositato in alcune zone. Non è mettere, come credono molti, solo il fard sul viso e basta, è un vero e proprio processo che mette al centro la dignità della persona. E’ cercare di restituire a chi ha perso qualcuno un’immagine il più possibile vicina alla realtà. Quante volte, e la mia esperienza lo conferma, tanti nostri cari apparivano irriconoscibili una volta morti, tra piaghe e coaguli di sangue. L’obiettivo, sin da subito, è evitare che le famiglie subiscono uno choc nel vedere i propri cari sfigurati».

In Italia ci sono ancora passi da fare su questo, dice Irene.

«Il nostro Paese reputa eccessive determinate tecniche come l’iniezione dei liquidi conservativi che permette di interrompere il processo di decomposizione per 10 giorni».

Irene inoltre collabora anche con le persone che stanno effettuando percorsi di chemioterapia.

«Abbiamo creato un percorso riguardante il trucco per permettere alle donne di curare la loro bellezza nonostante la malattia con tutta una serie di trattamenti. Con l’armocromia scegliamo i colori che risaltano meglio l’incarnato e nascondono le occhiaie e i difetti. Per prendersi cura di se stesse e mantenere la dignità, nonostante tutto».

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