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Mercoledì delle Ceneri: l'omelia del vescovo Devasini

La celebrazione oggi pomeriggio in Cattedrale

Mercoledì delle Ceneri: l'omelia del vescovo Devasini
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Oggi mercoledì 22 febbraio la Chiesa Cattolica celebra il Mercoledì delle Ceneri, il giorno di astinenza e digiuno con cui si apre il tempo della Quaresima in preparazione alla Pasqua.

Il vescovo diocesano, monsignor Giampio Devasini, ha celebrato l'eucaristia nel duomo di Chiavari alle 18. Ecco l'omelia pronunciata nel corso della celebrazione

L'omelia

 

Cari fratelli e sorelle, 

la liturgia del Mercoledì delle Ceneri è connotata da tre “insistenze”: l’insistenza di Gesù  nel richiamare le tre pratiche giudaiche dell’elemosina, della preghiera e del digiuno;  l’insistenza, sempre di Gesù, di non fingere, di non recitare, di non pensare che la vita sia  un palcoscenico; l’insistenza della Chiesa nel raccomandare la conversione e il pensiero  della morte (la conversione con la prima formula del rito della imposizione delle ceneri:  «Convertitevi e credete nel Vangelo»; il pensiero della morte con la seconda formula  alternativa del rito dell’imposizione delle ceneri: «Ricordati, uomo, che polvere tu sei e in  povere ritornerai»). Ebbene, è sulla seconda insistenza che desidero soffermarmi con voi  questa sera.  

Il discorso di Gesù poc’anzi ascoltato è tutto impostato sulla contrapposizione tra realtà  e finzione, tra sostanza e apparenza. È una martellante messa in guardia dall’ansia di  dimostrare qualcosa: chiede di non praticare le opere buone «davanti agli uomini per  essere ammirati da loro», di «non suonare la tromba» «per essere lodati dalla gente», di  non agire «per essere visti dalla gente», di non sfigurarsi la faccia «per far vedere agli altri»  che digiuniamo. Gesù ci chiede di non scambiare la pratica della fede con un’esibizione  

teatrale. La parola “ipocrita”, ripetuta per tre volte, indicava originariamente un “attore”  (ποκριτής), uno che recita una parte. Non siate attori, ripete il Vangelo, non simulate  una parte, non cercate ammiratori per attirare gli applausi. Piuttosto badate alla sostanza,  alla realtà. Alla pratica di esibirsi per trovare consenso, Gesù contrappone la pratica «nel  segreto». Per sei volte ripete «nel segreto», letteralmente «nella cripta» (κρύπτη), cioè nel  luogo più intimo, che è il cuore. Dice: «quando tu preghi, entra nella tua camera». Non  dice di entrare nel camerino, vicino al palcoscenico, dove si ripassa la parte e ci si trucca;  dice di entrare nella propria camera, in se stessi, dove cadono le maschere e ci si  confronta con la parola di Dio. Uno dei segni più chiari della conversione è il passaggio  dalla pratica religiosa alla pratica della fede; da una serie di gesti compiuti per compiacere  gli altri, per suscitare l’interesse, l’attenzione degli altri, come sul palcoscenico, a una vita  di adesione alla volontà di Dio per rispondere al suo amore. Tante volte ci chiediamo:  “cosa dirà la gente se mi comporto così?”; ed è giusto che ce lo chiediamo, per evitare lo  scandalo e dare testimonianza; ma questa deve essere solo la seconda domanda, perché  la prima dev’essere: “cosa dirà il Signore se mi comporto così?”. A Samuele, scegliendo  Davide, Dio disse: «L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore» (1 Sam 16,7).  Io potrei anche raccontarla agli altri, far credere quello che voglio, recitare bene una  parte che non è mia. Ma non posso certo ingannare il Signore, che vede sotto la  maschera. Il cammino quaresimale non è un percorso di tristezza ma di gioia nella  misura in cui è passaggio dall’ipocrisia, dalla recita alla limpidezza del cuore, alla coerenza  tra pensieri-sentimenti-parole-azioni. Tutti portiamo qualche maschera e nascondiamo  qualche cosa di noi stessi: e questo si chiama “peccato”. La quaresima è un annuncio  gioioso: possiamo togliere la maschera, possiamo smettere di recitare perché il Signore  vede il cuore, perché il Signore ci ama per primo, incondizionatamente, smisuratamente,  gratuitamente, perché non dobbiamo portare il Signore dalla nostra parte in quanto è già  dalla nostra parte: e questa si chiama “conversione”. Non certo con le nostre forze, ma  lasciando entrare il suo perdono – «lasciatevi riconciliare con Dio» ci ha detto San Paolo  nella seconda lettura tratta da 2Cor – : e questa si chiama “grazia”. Sia perciò la grazia a  togliere dalle nostre mani il testo del copione che a volte recitiamo per compiacere gli  altri e a metterci in mano, invece, il testo della parola di Dio per rispondere al suo amore  e servire i fratelli. È gioioso e liberante lasciare il palcoscenico ed entrare nella stanza del  cuore. Buon cammino quaresimale! 

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