Messa di inizio anno, l'omelia del Vescovo Devasini
Parole pronunciate nel pomeriggio di oggi, domenica 1 gennaio
A Chiavari messa di inizio anno in Cattedrale oggi, domenica 1 gennaio, con l'omelia pronunciata questo pomeriggio dal Vescovo diocesano, monsignore Giampio Devasini.
L'omelia del Vescovo Devasini
«Cari fratelli e sorelle, in un giorno - il primo dell’anno - in cui lo sguardo è naturalmente portato a spingersi in avanti, ai giorni che ci attendono e in cui speriamo si realizzino attese e progetti custoditi nella mente e nel cuore, il Vangelo registra un tipo di atteggiamento che sembra essere orientato all’indietro. I pastori “riferirono [a Maria e Giuseppe] ciò che del bambino era stato detto loro”; “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”; “I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto”; compiuti “gli otto giorni prescritti per la circoncisione”, al Figlio di Dio - fatto uomo nella “pienezza del tempo” - fu messo il nome indicato dall’angelo Gabriele e cioè Gesù che significa “Dio salva”. Tutto viene fatto custodendo e ricordando indicazioni ricevute, parole ascoltate, fatti accaduti. La questione sembra essere non tanto quella di andare avanti quanto quella di non farsi sfuggire ciò che si ha dietro. È il tema della memoria, della gratitudine, della custodia. C’è chi pensa che il modo migliore di andare avanti sia cancellare le cose tristi del passato e rimuovere tutto l’irrisolto, buttandoselo alle spalle. Invece i pastori e soprattutto Maria entrano nella più grande delle novità tenendo stretti i fatti e le indicazioni del passato. La saggezza non ci piove addosso all’improvviso ma è il frutto maturo della memoria, deriva dal saper rintracciare il filo rosso che unisce i vari momenti della nostra avventura, ed è una sintesi interiore che ci pone davanti al futuro avendo scoperto il segreto del passato. Per vivere bene l’anno che inizia vale la pena partire dalla gratitudine, passare in rassegna tante cose buone che ci sono accadute, tanta grazia e a misericordia ricevute, tanta pazienza di Dio verso ognuno di noi e tanti fatti piccoli e grandi che ci hanno consolato e rallegrato. È il migliore degli esami di coscienza: portare alla luce della consapevolezza quel che abbiamo visto e udito di bello, di luminoso, di importante. Non farsi scivolare addosso la vita da superficiali ma comportarsi come i pastori: glorificare e lodare Dio per tutto quello che abbiamo udito e visto. I Padri del deserto del IV secolo dicevano che la radice del peccato è la smemoratezza. Mi dimentico di quanto ho visto e udito, mi scordo di quanto Dio mi voglia bene e allora cado nelle mie paure, mi impantano nei miei terrori. E ricado nella mia pusillanimità. Del resto come comincia la preghiera che il pio israelita recita due volte al giorno? Comincia così: “Ricorda, Israele…”. Lo stesso Gesù quando nell’ultima cena ci ha donato il suo corpo e il suo sangue ha detto: “Fate questo in memoria di me”. Nell’omelia a Santa Marta del 21 aprile 2016 papa Francesco afferma che: la fede è un cammino che, mentre si compie, deve fare memoria costante di ciò che è stato. Delle “cose belle” che Dio ha compiuto lungo il percorso e anche degli ostacoli, dei rifiuti, perché Dio, “cammina con noi e non si spaventa delle nostre cattiverie”. Sì, cari fratelli e sorelle, mi devo ricordare quel che ho vissuto. Il male - per non ricaderci - e il bene - per percorrerne la strada. Mi devo ricordare il mio dolore, perché mi tiene con i piedi per terra e mi consente di avere compassione di fronte al dolore altrui. Mi devo ricordare la felicità, perché debbo sapere che non è una chimera, è parte della mia vita, non la devo dimenticare. Devo ricordare tutto quel che mi serve per camminare bene».