Diocesi di Chiavari

Natale, le omelie del Vescovo Giampio Devasini

Gli interventi durante le Celebrazioni Eucaristiche in Cattedrale nella Notte di Natale e nel giorno di Natale

Natale, le omelie del Vescovo Giampio Devasini
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Tanti i fedeli che hanno potuto ascoltare a Chiavari, in Cattedrale, le omelie pronunciate dal Vescovo Giampio Devasini nel corso della messa della notte di Natale e in quella del giorno di Natale.

Celebrazione Eucaristica nella notte di Natale - 24 dicembre 2022

«Cari fratelli e sorelle, tutto sommato, è forse abbastanza facile credere in un Dio-essere perfettissimo e nello stesso tempo lontanissimo da quel guazzabuglio che è la storia dell’umanità, che è la mia storia personale; tutto sommato, è forse abbastanza facile credere in un Dio-essere supremo da tenere buono, da accattivarsi con doni, offerte, sacrifici e riti. Forse ben più difficile è riconoscere Dio e accogliere Dio in un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, in un neonato fragile e bisognoso di tutto. E tuttavia proprio questo è l’oggetto del gioioso annuncio degli angeli ai pastori: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore». Sì, nel figlio di Maria, in Gesù di Nazaret l’infinitamente lontano si è fatto vicino; l’eterno ha varcato la soglia del tempo; l’altissimo si è abbassato; l’immenso si è rimpicciolito per farsi concepire, per nascere e farsi abbracciare. Colui che ha creato l’universo e lo governa nasce in una stalla e non in un palazzo regale; Colui che è la luce del mondo illumina e non acceca; Colui che è il re dei re e il signore dei signori nasce nel silenzio e non tra annunci ufficiali e feste spettacolari; Colui che è servito da miriadi di angeli invoca accoglienza e non si impone; Colui che è l’amore si offre a tutti – a cominciare dai pastori considerati ‘scartati’, addirittura ‘impuri’ – e non solo ad alcuni particolarmente meritevoli. Un Dio povero, un Dio umile, un Dio che si fa bambino per non intimorire e rendere così più facile l’accoglierlo, un Dio che rispetta la mia libertà, un Dio che ama per primo, gratuitamente, smisuratamente, incondizionatamente, immeritatamente o è una commovente favoletta a cui forse si può credere quando si è piccoli ma a cui, una volta cresciuti, non si può più credere a meno di essere dei mentecatti, dei poveri stupidi oppure scelgo di credere che sia tutto vero e allora la mia vita cambia e diventa trasparenza di questo Dio. Permettetemi un secondo passaggio. Qualcuno potrebbe chiedere: il Figlio di Dio fatto uomo e annunciato come salvatore da cosa ci ha salvati, da cosa ci salva? In altri termini, dopo che Gesù è venuto in questo mondo, si soffre ancora? Sì. Si muore ancora? Sì. L’ingiustizia domina ancora la terra? Sì. Le guerre ci sono ancora? Sì. Milioni di persone muoiono ancora di fame? Sì. E allora? E allora questo scandalo si spiega con il fatto che Dio ha deciso di salvarci non con la forza, non con la potenza, non con la sapienza ma con la condivisione. Mi spiego esemplificando. Ho un grave problema di salute. Il grande luminare della medicina forse lo risolve e così guarisco; la persona cara – un fratello, un amico –, se è veramente tale, mi rimane accanto anche quando il problema di salute risulta irrisolvibile: semplicemente lo condivide con me, ogni giorno. E comunque la persona cara resta sempre al mio fianco, anche quando, risolto un problema ne sorgono altri. Tra i due modi appena ricordati, Dio ha scelto il secondo, non perché non voglia aiutarci nei nostri travagli quotidiani, ma perché vuole fare, anzi vuole essere ben di più per noi: appunto un fratello, un amico. Per cui non ci dà semplicemente un aiuto, o qualcosa. Ci dona tutto e cioè ci dona se stesso. Cari fratelli e sorelle, ora sappiamo che, comunque vadano le cose nel mondo e nella nostra vita, Gesù è e resta l’Emmanuele, il Dio-con-noi. È al nostro fianco, e non ci abbandonerà mai. Mai. Sì, quel Natale, avvenuto una volta, vale per sempre».

Celebrazione Eucaristica nel giorno di Natale - 25 dicembre 2022

«Cari fratelli e sorelle, nel racconto lucano della nascita di Gesù, è presente una tensione bipolare: quella tra la povertà e la gloria e più precisamente tra la povertà scandalosa del bambino da una parte, e, dall’altra, la sua gloria sfavillante, che gli angeli proclamano con il canto, Povertà e gloria dicono l’identità unica e originalissima di Gesù. Questo bambino che compare nella storia, confuso nel numero degli uomini senza peso, è la Parola di Dio che ci ha creati, la Vita che ci fa vivere da figli, la Luce che sfugge alle prese delle tenebre. Nel prologo giovanneo ora ascoltato, questa tensione bipolare viene ulteriormente radicalizzata attraverso il ricorso alla tensione bipolare tra la Parola divina e la carne umana, tra la Parola con cui Dio ha fatto i cieli e la carne umana che è segno di fragilità e di miseria. Questa Parola – Verbo è il termine utilizzato nel testo proclamato poc’anzi – non è una metafora per dire che Dio entra in comunicazione con l’uomo; questa Parola non è un’idea astratta, general generica; questa Parola è la seconda persona della SS.ma Trinità, è il Figlio del Padre che nella pienezza dei tempi si è fatto carne: Gesù, nato a Betlemme di Giudea, l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Poi questa Parola fatta carne crescerà e annuncerà il regno di Dio, il regno delle beatitudini accompagnando tale annuncio con la cura delle donne e degli uomini feriti nel corpo e nell’anima; questa Parola si farà quindi urlo di dolore sulla croce; questa Parola poi si spegnerà nel silenzio della morte; al mattino del terzo giorno, questa Parola risorgerà. E infine – ma è l’inizio senza fine – questa divina, umanissima Parola si farà promessa e compagnia, sul monte, nella Galilea delle genti: «Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). La Parola dunque è con noi per comunicarci vita, per donarci luce. Sì, questa Parola è la luce che ci occorre per vivere in un tempo ricco di sfide e quindi di opportunità, come il presente. Questa Parola è la luce che ci occorre per rispondere alla domanda che da sempre inquieta il cuore dell’uomo: che senso ha vivere se poi si vive solo per morire? Siamo abitati da una prepotente fame di immortalità, da una invincibile brama di vita, da una insaziabile sete di bene, da una penosa sensazione di non bastare a noi stessi, da un insopprimibile anelito alla verità, da un connaturale desiderio di amare ed essere amati, da un bruciante bisogno di felicità, da una lacerante nostalgia di Infinito, di Assoluto, di Eterno. Ecco, questa fame, questa sete, questa brama, questa sensazione, questo anelito, questo desiderio, questo bisogno sono la firma di Dio al capolavoro che lui stesso vuole fare di ognuno di noi. Vuole nel rispetto delle nostre scelte: eh sì, perché se è vero che a Dio «tutto è possibile (Mc 10,27), è anche vero però che Dio non può nulla o meglio ha scelto di non potere nulla contro la libertà dell’uomo che gli volta le spalle. E però nessun rifiuto da parte dell’uomo può impedire alla libertà di Dio di amare quella figlia o quel figlio, fino a sacrificare se stesso. Questa è la parola di luce che viene dalla croce: l’amore gratuito di Dio si riversa su tutti, perfino su chi non lo accoglie, perfino su chi lo rifiuta. Questa è la Luce che viene dalla Croce, ma che comincia a risplendere nel Natale, quando «è apparsa la grazia – l’amore gratuito -– di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11), quando è nato il Bambino che, facendosi mortale, ha guarito la nostra mortalità, e con la sua risurrezione «ha fatto risplendere la Vita» (2Tm 1,10). Cari fratelli e sorelle, accogliamo la luce che illumina ogni uomo, Cristo Gesù, e avremo vita vera, vita buona, vita bella, vita più forte della morte».

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