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Rock City a Chiavari, la denuncia di un giovane chiavarese

Il racconto di un ragazzo che ha partecipato alla serata

Rock City a Chiavari, la denuncia di un giovane chiavarese
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Nella serata di ieri, giovedì 25 luglio si è svolta Rock City, la serata dedicata alle band rock e metal nell'ambito del festival organizzato dal Comune e dalla Filarmonica di Chiavari, ma qualcosa è andato storto. A denunciarlo un giovane chiavarese:

"Viene definita “Rock City” e Chiavari ci tiene a smentire.
Si è tenuta nella serata di giovedì 25 luglio, all’interno della più ampia cornice del Chiavari musica festival organizzato dalla filarmonica di Chiavari, una serata interamente dedicata alle band rock e metal del Levante ligure, da ormai due anni a questa parte denominata Chiavari Rock city. Per l’occasione il ponticello del lungo porto Carniglia si è trasformato nel palco dove hanno potuto esibirsi quattro band dell’underground locale ma dove da un certo punto in poi la serata ha preso una piega quantomeno amara che ci offre lo spunto per parlare della condizione dei ragazzi alternativi del levante ligure e di che cosa voglia dire oggi cercare di fare musica destinata ai giovani nella regione più anziana d’Europa.

Arrivo al lungo porto Carniglia giusto in tempo per saggiare la performance dei DemoDum, trio di liceali che propone un brioso punk dalle sfumature hardcore; gruppo che, al netto di una ingenuità propria della giovinezza dei componenti, regala un concerto suonato con precisione fino alla fine e che fa ben sperare per un futuro sgrezzarsi del sound. Mentre i nostri si esibiscono assisto ad un pogo che è una costante in tutta la serata e che mi dà modo di riflettere su come il Comune abbia voluto gestire un evento del genere.

A perplimermi non poco è l’allestimento dello spazio dedicato al pubblico; la platea è divisa in due sezioni da una transenna: da una parte vi è uno spazio dedicato a chi vuole assistere alla serata stando in piedi, pogare e via dicendo, mentre dall’altra si ergono le sempiterne sedie blu che il Comune sfodera ogni volta che c’è un evento musicale e sulle quali torneremo in seguito. Ca va sans dir che i posti riservati a chi si vuole sedere vengono presto occupati da persone anziane, famiglie e chiunque non desideri stare vicino alle band e al loro sempre pogante pubblico. Salgono poi sul palco i genovesi Hecho mierda che propongono un interessante stoner rock, caratterizzato da parti di chitarra ben architettate ed un comparto ritmico incalzante, evocativo e perfettamente contestualizzato; ultimo ingrediente di questa amalgama è una voce distorta che ricalca i grandi miti del rock anni ’70 ma con una tigna ed una secchezza interamente proprie del sottogenere più desertico del rock.

I genovesi ci regalano dunque momenti di indiscutibile potenza intervallati dal costante tentativo del cantante di portare la platea dei seduti più vicino al palco; nonostante continue esortazioni e goliardiche minacce i genovesi fanno presto esperienza di qualcosa la cui durezza va ben oltre il potere trascinante del rock: l’indifferenza dei chiavaresi. È il turno dei padroni di casa, i GigoWat sono ben conosciuti da queste parti e a ragione della loro fama regalano un concerto divertente e divertito: complice un basso distorto che ricalca per mole sonora la stazza del loro carismatico frontman i nostri, qui ridotti a trio, danno prova delle qualità già dimostrate nei numerosi concerti macinati negli ultimi anni: una chitarra sbarazzina impreziosita da solismi canonici ma gustosi, ritmi incalzanti ed un basso enorme a supporto di un cantato altrettanto possente e soprattutto solidissimo nella sua impostazione scura e hard rock.

La carica che i GigoWat riescono a conferire al pubblico raggiunge l’apice con persone che vengono sollevate dalla folla ma non riesce a distogliere dalle effettive qualità che questi dimostrano anche nell’adattamento dell’unica cover della scaletta: Daytona di Salmo, brano che i nostri riescono ad inserire perfettamente nel loro orizzonte sonoro.

Al termine dell’ottima esibizione Alessandro Petralia, frontman dei GigoWatt, tributa i giusti onori ad una serata che, per calore del pubblico e supporto di comune e filarmonica, ha per il momento regalato molto e ci tiene a ribadire quanto valore possa avere il fatto che quattro gruppi del Levante si riuniscano per suonare i loro inediti, andando per una volta a proporre qualcosa che esula dal comune andazzo musicale della zona. Si tratta effettivamente di qualcosa di meritevole, ma chiaramente c’è dell’altro, perché deve esibirsi ancora una band. Deus Nemesi rappresenta senz’altro una realtà di rilievo nel nostro panorama musicale: non capita tutti i giorni di vedere quattro ventenni che suonano un trash metal arricchito da abilità tecnica e sapiente precisione. Sicuramente è il genere meno digeribile per il pubblico della serata, per via delle chitarre massicce, dalle batterie dure e frenetiche e delle vocalità distorte ma è innegabile il valore di brani quali La scelta, Genesi e Fenice che poi sono per inciso gli unici che il gruppo è riuscito a suonare prima che un addetto del Comune spegnesse tutto più o meno alle 23:30 (quindi in anticipo rispetto all’orario concordato per il termine del concerto, fissato intorno a mezzanotte).

La scena alla quale assisto assume tratti dolorosi e segue un copione tanto più amaro, soprattutto se si pensa che accade nel momento in cui a salire sul palco è proprio l’antitesi di tutto quello che il chiavarese medio ascolterebbe mai, dunque nel momento più scontato: i ragazzi iniziano un nuovo martellante brano, quando ad un certo punto le chitarre ed il microfono smettono di funzionare; vedo la grinta, la veemenza con la quale il cantante e chitarrista ritmico Leonardo Eroico aveva fino a quel momento suonato e cantato, tramutarsi in frustrazione, in una rabbia che lascia sempre meno spazio all’interpretazione dopo che il giovane dalla canottiera nera si avvicina per capire se il suo amplificatore abbia avuto qualche problema: si sfila la chitarra, va a controllare, poi la rimette, prova ad imprimere la sua voce nel microfono ma quella possibilità gli è stata rapidamente negata e quindi esorta i tre compagni a continuare mentre si aggira per il palco, amareggiato. Gli altri tre membri della band si stringono tra di loro in un’ostinata perpetrazione di un gesto che ha sempre meno senso mentre da sotto il palco si sentono oramai solo un basso privo di distorsione ed una batteria che suona incessantemente.

Un addetto del comune recante al collo un cartellino fa la spola tra il palco ed il mixer comunicando ai Deus Nemesi che il loro concerto è finito, che la serata è finita. I ragazzi sotto il palco esplodono in un coro che ha dell’emblematico, gridano “Chiavari, Chiavari vaffanculo!” e di fianco a me sento un commento che ha a sua volta dell’emblematico “Città di vecchi per i vecchi” perché nella sua sinteticità dice qualcosa su di noi e sulla nostra città. Innanzitutto il coro lascia intendere che i ragazzi non hanno dubbi sull’interlocutore delle loro lamentele; il loro urlo non è rivolto ad un sindaco, nemmeno all’uomo che ha staccato la spina: i giovani arrabbiati si rivolgono direttamente alla città, al loro territorio a qualcosa, che non disattende le loro idee sulle sue prospettive culturali geriatriche. In tutto questo la metà dei seduti conserva una calma serafica.

Mentre li sento urlare, mentre percepisco che tutto questo, a pochi metri da un club che continua la sua serata musicale indisturbato, ha qualcosa di profondamente sbagliato perché dimostra l’assoluta incapacità dei chiavaresi ad un’elasticità basilare, elementare per chiunque voglia contribuire a fare della propria città un luogo di espressione artistica (sempre che effettivamente lo si voglia). A ben vedere si sarebbe trattato di mezz’ora di “trambusto”, una mezz’ora soltanto e, come pattuito le band avrebbero terminato.

Non è importante chiedersi se qualche residente abbia chiamato i vigili o cose del genere, lo è piuttosto osservare la risolutezza con la quale si spegne l’amplificatore ad un musicista che suona, la totale noncuranza con la quale si fa questo il 25 luglio sul lungomare di una zona turistica. Tornando alle sempiterne sedie blu dell’inizio, credo che anche queste rimandino a qualcos’altro, qualcosa sulla quale valga la pena riflettere: le sedie blu hanno accompagnato ognuno degli ultimi tre eventi musicali ai quali sono stato qui a Chiavari, il concerto di Napo davanti alla Cattedrale di N.S. dell’Orto, l’ottima serata Time to swing del quartetto di jazzisti capitanato da Tommaso Perazzo e poi la serata precedentemente descritta.

Escludendo l’evento jazz per ragioni che potremmo definire “di ricezione”, le sedie blu alla serata dedicata a De André occupavano l’interezza dello spazio riservato all’evento senza considerare uno spazio dove chi voleva potesse muoversi, ballare (ci sono brani di Faber che lo permettono) mentre al Chiavari rock city la disposizione delle sedie ha ricalcato una dicotomia sempre presente nella nostra città. Se le sedie non occupano la totalità dello spazio devono quantomeno occuparne la metà. Invito lettrici e lettori a fare le loro considerazioni in merito a come organizziamo gli spazi dica qualcosa su chi siamo e come pensiamo. Le sedie blu a Chiavari ci sono sempre e da queste, quando anche viene fatta un’ingiustizia nessuno si alza indignato".

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