"Se avessi un figlio gay lo brucerei”: ecco perché l'ex consigliere De Paoli è stato assolto
Rese note le motivazioni per cui l'ex consigliere è stato assolto con formula piena
"Se avessi un figlio gay, lo butterei in una caldaia e lo brucerei”: nel 2016 la frase era stata pronunciata dall'allora consigliere regionale della Lega Giovanni De Paoli dopo un consiglio regionale, ma nonostante questo il 21 marzo di quest'anno era stato assolto perché "il fatto non costituisce reato". Sono state rese note ieri, martedì 13 giugno, le motivazioni che hanno portato De Paoli, difeso dagli avvocati Cristina Cafferata e Barbara Amadesi, all'assoluzione con formula piena.
La frase pronunciata nel 2016
L'episodio risale al 2016: il 10 febbraio, dopo il consiglio regionale Ligure, al termine della riunione di una commissione consiliare tenutasi presso il Palazzo dell'Assemblea Regionale Ligure, De Paoli aveva incontrato alcuni membri dell'associazione AGEDO (associazione genitori di omosessuali) ed altri rappresentanti di associazioni appartenenti del Coordinamento "Liguria Rainbow", quindi comunicando con più persone e interloquendo con uno dei presenti, aveva offeso la reputazione del figlio dei coniugi e di altri presenti, nelle loro rispettive cariche di presidente nazionale della Associazione Agedo e di Presidente del Comitato per gli immigrati e contro ogni forma di discriminazione, pronunciando la famosa frase.
Le motivazioni
Scrive il giudice Filippo Pisatura:
“Ricorda la Corte – si legge nelle motivazioni - che 'il reato di diffamazione è configurabile in presenza di un'offesa alla reputazione di una persona determinata e non può, quindi, ritenersi sussistente nel caso in cui vengano pronunciate o scritte espressioni offensive riferite a soggetti (nella specie appartenenti ad un movimento politico) non individuati, né individuabili' [...] Lo stesso Supremo Giudice ha, da tempo, precisato che 'il reato di diffamazione è costituito dall'offesa alla reputazione di una persona determinata e non può essere, quindi, ravvisato nel caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria”.
E ancora:
“Nel caso di specie la, pur terribile, frase pronunciata dal De Paoli - che non faceva riferimento ad alcuna associazione specifica, né ad alcuna attività istituzionale chiaramente determinata ricollegabile ad uno o a più' degli enti presenti all'incontro - non poteva ritenersi idonea ad incidere in alcun modo sulla considerazione di cui gli enti stessi godono nella collettività”.
Assolto quindi De Paoli e rigettate le istanze delle associazioni che si erano costituite parte civile, associandosi alla richiesta del pm di condanna e risarcimento del danno da parte dell'ex consigliere.