Solennità di tutti i Santi, le omelie del Vescovo Giampio Devasini
Pronunciate venerdì 1 novembre
In occasione della Solennità di tutti i Santi, il Vescovo diocesano, mons. Giampio Devasini ha tenuto un' omelia nella cattedrale di Chiavari e una al santuario N.S. di Montallegro.
Celebrazione Eucaristica nella Solennità di tutti i Santi
Cari fratelli e sorelle,
Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate parla dei nemici sottili della santità, che sono le due eresie comuni a ogni epoca: la Gnosi e il Pelagianesimo.
Volendo semplificare molto si tratta di questo. Per la tendenza gnostica la salvezza è capire qualcosa, riempirsi il cervello e arrivare a dominare con la testa la propria vita, conoscere tutti i misteri e parlare lingue di angeli e di uomini, come direbbe san Paolo.Invece per la tendenza pelagiana tutto sta nell’impegnarsi, nello sforzarsi: “Dio ci ha dato l’esempio, adesso tocca a noi!”. Quanta predicazione cattolica è gnostica o pelagiana...e la gente scappa da una Chiesa astratta o volontarista, e chissà che non sia un bene, perché così forse torneremo alla base della Chiesa, che non è l’intelligenza o la forza, ma la Pasqua del Signore.
La santità, vera identità cristiana ed essenza del Battesimo, è un’opera di Dio in noi. Ed è quel che troviamo nelle beatitudini, chiave donata dalla liturgia per proclamare e celebrare la santità.
Nel discorso di Gesù che abbiano ora ascoltato compaiono una serie di verbi al passivo, che gli studiosi chiamano “passivi teologici” o “passivi divini”. Questa tipologia di verbi veicola un intento ben preciso: parlare di un’opera mostrando il destinatario dell’opera (l’uomo) e non l’autore dell’opera (Dio): tra l’altro, in questo modo, l’ebraismo evitava di citare troppo il nome di Dio, di per sé impronunciabile.
Consideriamo i passivi teologici o divini più evidenti: «saranno consolati...saranno saziati...troveranno misericordia... saranno chiamati figli di Dio». Sono opere che Dio compirà nella vita degli uomini che si trovano in certe situazioni, che si comportano in un certo modo; lo stesso dicasi per le altre opere con riferimento alle quali il verbo è all’attivo: consegnare loro Regno dei cieli, dare in eredità la terra, mostrarsi loro.
Ogni beatitudine indica una condizione in cui Dio compie queste opere, e si tratta di condizioni pasquali: povertà in spirito, pianto, mitezza di fronte al male, fame e sete della giustizia, misericordia, purezza di cuore – e cioè coerenza tra pensiero, parola e azione –, persecuzione per la giustizia, impegno per la pace. A quest’ultimo riguardo occorre ricordare che essere operatori di pace, nel Nuovo Testamento, vuol dire far pace per mezzo del proprio sangue: il Signore dà la sua pace così, non come la dà il mondo, ossia con alleanze per ottenere la distruzione del nemico o con una sequenza di trattati di pace tutti regolarmente smentiti nella storia.
Allora cosa è la santità? È quando lasciamo che ciò che ci succede sia il luogo dove Dio opera, e ci lasciamo portare dove lui ha pensato. È una questione molto più di accoglienza che di intelligenza o di forza.
La mia santità la disegna Dio, attraverso le occasioni che ho per lasciarmi portare da lui. Abbiamo l’opportunità di farci consegnare la sua vita tutte le volte che si apre una porta per perdere la nostra vita. I difetti di un coniuge sono il sentiero dell’opera di Dio per un cuore di sposo o di sposa, lì dove l’altro non va cambiato o mentalizzato, ma accolto. E lì opera Dio.
Le difficoltà di ogni giorno sono occasioni pasquali per vedere l’opera di Dio. Ripeto: non serve forza o intelligenza, serve accoglienza dell’opera di Dio. La mia santità è nascosta nella vita che la Provvidenza mi dona, non nel mio cervello o nei miei muscoli. Amen.
Cari fratelli e sorelle,
uno degli aspetti della personalità di Marco che più mi attrae e che, secondo me, lo pone in una speciale sintonia con i giovani di oggi – a cominciare da quelli, sempre più numerosi, che dicono di non credere o che, pur credendo, hanno abbandonato la pratica religiosa (non è evidentemente il vostro caso) – è quel suo inquieto farsi e fare tante domande.
Cari giovani, la fede in passato ha offerto una visione complessiva della vita; l’allontanamento di tanti giovani vostri coetanei da una prospettiva credente fa sì che le domande emergano con maggiore vigore, mentre spesso non si hanno più a disposizione risposte condivise e convincenti.
E così ogni giovane deve fare i conti personalmente con gli interrogativi esistenziali di fondo, che sono poi gli interrogativi esistenziali di sempre: Che senso ha la vita? Chi sono in questo universo infinito? Qual è lo scopo della mia esistenza? Qual’è il senso di tutto? La strada che sto percorrendo è la mia o di qualcun altro? Se Dio esiste perché guarda e non fa nulla di fronte alle guerre, alle inondazione, ai bambini che muoiono di fame? Quale sarà il mio futuro?
A quest’ultimo riguardo c’è da rilevare che la fiducia che i giovani hanno nel domani è, sovente, piuttosto scarsa; sovente cioè sono più propensi a vederlo carico di rischi e di minacce piuttosto che di sogni e di promesse. E poi c’è un’altra domanda più frequente di quanto si possa immaginare: Cosa c’è dopo la morte? Notare: qualunque sia la questione esistenziale che si affronta con voi giovani, credenti e non credenti, a un certo punto emerge la questione di Dio come quella ineludibile; emerge anche solo per negarne (non è il vostro caso, evidentemente) il valore, ma comunque come un argomento con il quale è impossibile non fare i conti.
Vi è un modo con cui, in genere, i giovani danno valore alla loro esistenza: è soprattutto ispirato ai valori di libertà, di amicizia, di solidarietà con quanti sono in difficoltà, di tutela dell’ambiente. Della libertà sono particolarmente gelosi, non solo della propria ma anche di quella degli altri: libertà come possibilità di vivere a modo proprio, di assecondare le proprie visioni, di compiere scelte svincolate da ogni condizionamento, in ambito religioso, morale, esistenziale. Ora, è vero che il forte senso di sé e della propria individualità possono condurre a ripiegamenti narcisistici e individualisti, ma è anche vero che possono condurre a un maggior senso del valore della persona, della sua libertà e della sua responsabilità.
Tra gli ambiti dell’impegno dei giovani solitamente ne manca uno, sempre più in crisi: manca la politica. Il bene comune è un’idea astratta per i giovani che avrebbero bisogno di vederlo incarnato e testimoniato in scelte concrete, cui la politica stenta a dare realizzazione. In astratto i giovani ne hanno una considerazione positiva, ma ritengono che i modi in cui essa viene vissuta da quelli che ne sono i principali interpreti pubblici compromettano il suo valore ideale. Così se ne tengono lontani, quasi fosse cosa che non li riguarda.
Qualche adulto e forse anche qualche giovane a questo punto potrà obiettare che i giovani che conosce sono indifferenti, hanno in mente solo di star bene e di divertirsi, che i loro giorni si svolgono uno dopo l’altro nella superficialità o nella ricerca di esperienze banali o effimere.
Certamente ci sono ragazzi e giovani che vivono in questo modo, ma di fronte a un’indifferenza reale o apparente occorre che noi adulti ci interroghiamo: è proprio questa la realtà della loro vita, o forse sotto un’immagine di spensieratezza e di banalità si nasconde altro? Magari domande che non hanno il coraggio di fare o di farsi e che restano sepolte sotto una cortina di indifferenza per frenarne la potenza destabilizzante. Le domande sono difficili da portare. Come affrontarle, nella forza dirompente che a volte esse hanno? Con chi condividerle? Sia le domande sia l’apparente mancanza di esse costituiscono una provocazione cui noi adulti, e particolarmente genitori ed educatori, non possiamo, non dobbiamo sottrarci.
Cari giovani, un’esperienza di fede che non solo non ha alle spalle una comunità (parrocchiale o legata, come per molti di voi, ad un movimento ecclesiale) ma soprattutto è vissuta senza passare attraverso la mediazione di essa, è una fede che non conosce la ricchezza e la fatica del confronto, della condivisione, dell’apertura interiore a fratelli e sorelle nella fede.
Cari giovani, fatevi rispettosi e gioiosi compagni di viaggio dei vostri coetanei che dicono di non credere o che, pur credendo, hanno abbandonato la pratica religiosa: state loro accanto attraverso una testimonianza capace di interpretare in maniera credibile una fede matura, una fede amica della vita, che apre prospettive di un’esistenza piena, quale il Vangelo contiene.
Cari adulti, ascoltiamo i nostri giovani e che sia un ascolto aperto, un ascolto libero da pregiudizi e dal desiderio di fare di loro le nostre fotocopie, un ascolto non preoccupato di offrire subito delle soluzioni. Accompagniamo i nostri giovani con empatia e pazienza nella loro inquieta ricerca. Forse scopriremo che le loro sono anche le nostre domande e certamente faremo esperienza di un dialogo che ci arricchirà.
Buon cammino a voi giovani, buon cammino a noi adulti. Amen.