l'omelia

Genova, il vescovo di Chiavari inaugura l'anno giudiziario del Tribunale Ecclesiastico ligure

La messa nella Cattedrale di San Lorenzo celebrata da monsignor Giampio Devasini

Genova, il vescovo di Chiavari inaugura l'anno giudiziario del Tribunale Ecclesiastico ligure
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Con la Celebrazione eucaristica presieduta a Genova nella Cattedrale di San Lorenzo dal Vescovo di Chiavari, mons. Giampio Devasini, si è inaugurato stamane il nuovo Anno Giudiziario del Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano della Liguria.

Hanno concelebrato l’Arcivescovo metropolita di Genova, mons. Marco Tasca, il Vescovo di La Spezia-Sarzana-Brugnato, mons. Luigi Ernesto Palletti, e diversi presbiteri.

Tra i Concelebranti anche mons. Mario Ostigoni, Vicario giudiziale della Diocesi di Chiavari e Vicario giudiziale aggiunto nel Tribunale regionale, e don Luca Sardella che nel corso della Celebrazione ha prestato giuramento all’avvio del suo nuovo incarico di Difensore del Vincolo aggiunto nello stesso Tribunale ecclesiastico della Liguria.

Presenti numerose Autorità civili e militari e il personale che lavora all’interno del Tribunale.

L'omelia di mons. Giampio Devasini

Cari fratelli e sorelle,
questa Concelebrazione eucaristica nel giorno in cui inauguriamo un nuovo Anno Giudiziario è “premessa” insostituibile affinché il vostro lavoro di giuristi possa esprimere pienamente la sua “promessa”: essere a servizio della verità e del bene. È in vista di questo obiettivo che, nella Chiesa, il settore giuridico è chiamato a camminare insieme agli altri ambiti di azione pastorale. Del resto, la Chiesa, sin dalle sue origini, ha scelto il Diritto nella prospettiva di avere una vita ordinata, sostenendo, per questa via, l’efficacia dell’azione della comunità cristiana nel mondo. Ecco, questa mattina viviamo l’esperienza suggerita da Gesù ai suoi discepoli: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’».
Il lavoro non mancava e l’evangelista annota che molti «andavano e venivano», tanto da non avere «neanche il tempo di mangiare».
E il Signore li sottrae per qualche ora alle loro incombenze. Li porta con sè, per riposare con Lui. Come a dire che se smarriamo questa “premessa”, un sano “riposare con il Signore”, non potrà mai dispiegarsi nel nostro servizio alcuna “promessa” di verità e di bene. So che anche nel Tribunale Ecclesiastico interdiocesano ligure il lavoro non manca. E oggi a tutti coloro che vi operano rinnoviamo la nostra gratitudine per l’impegno e la costante dedizione. Ma Gesù ci invita a compiere un esodo che dall’ansia da prestazione conduca alla cura della relazione. Perché - è vero - c’è tanto da fare. Ma - lo ripeto - se l’incontro con il Signore non è desiderata “premessa” di ciò che facciamo, non saremo mai collaboratori del compimento della “promessa” racchiusa in ciò che svolgiamo.
I discepoli, ci dice ancora l’evangelista Marco, stanno raccontando al Signore ciò che hanno fatto e insegnato. E li immaginiamo intenti a condividere storie, incontri, volti, esperienze. Tutte occasioni che hanno permesso loro di abbracciare la realtà. E la realtà così come l’hanno trovata: con le sue altezze e le sue storture, con le sue luci e le sue ombre. La stessa che come operatori del Tribunale incontrate tutti i giorni e che, evidentemente, va ben oltre le statistiche che restituiscono i resoconti delle attività svolte nell’anno.
I discepoli condividono con il Signore la ricchezza e la profondità che viene loro restituita dall’abbracciare la realtà tutta intera. E scoprono, prendendo a prestito le parole di San Paolo VI, «la dolce e confortante gioia di evangelizzare» (Evangelii nuntiandi). Una gioia che è diventata esperienza vitale innanzitutto per loro. Allo stesso modo, il Tribunale ecclesiastico annuncia oggi il Vangelo quando è capace di avvicinarsi con gentilezza e rispetto alla storia di ogni persona, ponendosi in ascolto di ogni vita senza pregiudizio, accompagnando e sostenendo nella ricerca della verità per poi indirizzare i cammini su strade di libertà e dunque di fecondità.
L’ultima sottolineatura che raccolgo dal Vangelo è il tratto della compassione - termine che indica un morso, un crampo, uno spasmo dentro, un male allo stomaco - manifestato da Gesù alla vista della folla. Un aspetto, quello della compassione, che deve accompagnare costantemente il lavoro di voi canonisti.
Lo insegnava San Tommaso d’Aquino, quando, commentando Mt 5,7, scriveva: «La giustizia senza la pietà conduce alla crudeltà, ma la misericordia senza giustizia, invece, porta alla dissoluzione dell’ordine».
Sì, Diritto e compassione devono camminare insieme. Non si deve mai dimenticare - e sono sicuro che voi non lo dimenticate - che il proprius color, la specificità intima del Diritto canonico è l’aequitas secondo la celebre definizione del Cardinale Ostiense Enrico da Susa, definizione ripresa – secondo quanto lui stesso dice – da san Cipriano e che suona così: «aequitas est iustitia dulcore misericordiae temperata» (Summa, de dispens., § 1). È solo la compassione, infatti, che permette di “cucire su misura” l’ordinamento giuridico al caso singolo realizzando in tal modo la iustitia maior.
La “premessa” della compassione vi consentirà così di collaborare al compimento della “promessa” della salvezza che il Signore desidera per ogni uomo, salvezza che, lo sapete meglio di me, è la suprema lex che deve ispirare e orientare il vostro quotidiano operare nel campo della giustizia. Amen.

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