Coronavirus

Mascherine per tutti? Beneficio o rischio? Parliamo dei pro e contro

C'è tanta confusione, ed ordinanze come quella di Rapallo che ne rendono obbligatorio per tutti l'uso fanno discutere. Cerchiamo di fare chiarezza: e vi mostriamo come vanno davvero indossate

Mascherine per tutti? Beneficio o rischio? Parliamo dei pro e contro
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Certi titoli sensazionalistici dei giornali che in questi giorni hanno ampiamente travisato un comunicato dell'OMS, ma anche l'ordinanza che a Rapallo ne ha stabilito l'obbligo di utilizzo per tutta la popolazione, stanno facendo in queste ore discutere molto in merito ai pro e contro dell'uso massiccio da parte della popolazione delle mascherine come protezione dal contagio di Covid-19. Proviamo a fare un po' di chiarezza.

Mascherine per tutti? Le basi

I succitati giornali hanno parlato di rischio di infezione "attraverso l'aria", confondendo in realtà due diversi metodi di trasmissione per via respiratoria di un virus come il SARS-CoV-2. Per chiarire la questione, dunque, cominciamo innanzi tutto col dire che i virus sono agenti infettivi davvero microscopici, nell'ordine delle decine o poche centinaia di milionesimi di millimetro. Ed è per questo che le istituzioni scientifiche hanno sempre ribadito (e continuano a farlo!) che le "normali" mascherine chirurgiche non offrono particolare protezione a chi le indossa, ma possono essere per lo più utili a proteggere gli altri da noi. Ci torneremo fra breve ma, intanto, chiariamo quale sia il metodo di contagio primario: le goccioline di saliva o muco.

Un virus sostanzialmente non sopravvive per propria natura, in ambiente esterno, al di fuori di queste goccioline: questa è anche la ragione per la quale non dovete prendere per assodate (non lo sono!) le stime che spesso circolano, e spesso del tutto campate per aria, sul numero di ore in cui il coronavirus può sopravvivere sulle superfici esterne. Perché fra le tante variabili che entrano in gioco in questo caso, vi è anche quella ambientale: ad esempio, a diverso tasso di umidità, può corrispondere una diversa durata di permanenza di tali goccioline inavvertitamente espulse da un malato su una superficie. Non sappiamo e non possiamo sapere quanto davvero il virus possa rimanere pericoloso su una superficie esterna, sia perché non abbiamo ancora dati certi al riguardo, sia perché appunto le variabili in gioco sono molteplici.

Mascherine chirurgiche e goccioline

Se dunque una mascherina chirurgica o similare - che ha una capacità filtrante di solo l'80% o poco più delle particelle - non pone una barriera sufficiente fra il virus e noi che la indossiamo (anche perché a differenza delle mascherine sanitarie ffp2/3 è aperta ai lati), è pur vero che la sua utilità nel caso di un malato sintomatico è evidente: se starnutiamo o tossiamo una mascherina ridurrà sensibilmente la quantità di goccioline che spargeremo in giro, nonché la "gittata" di questa espulsione. Non le azzererà, certo, ma una riduzione è pur sempre meglio che niente. Ed è per questo che le istituzioni sanitarie le hanno sempre consigliate prevalentemente per le persone sintomatiche.
E su questo vi sono anche un certo numero di prove scientifiche: anche se tendenzialmente si parla di studi che non hanno avuto estrema conferma e ripetibilità, è del resto il motivo per cui le si sono sempre usate, per l'appunto, in chirurgia: il chirurgo le indossa per proteggere da sé il paziente che sta operando.

Una infografica sulle diverse capacità filtranti, in entrata ed uscita, dei diversi modelli e tipologie di mascherine

Aerosol: verità o finzione?

Vi è poi un'altra ipotesi - che però è solo una mera ipotesi - su un secondo possibile veicolo di contagio: l'aerosol. Ossia l'emissione del virus anche attraverso la normale respirazione, formando sostanzialmente piccole nubi che possano restare in sospensione nell'aria ed essere comunque infettive. È su tale ipotesi che in realtà verte la discussione, ma non vi sono prove scientifiche, ad oggi, che dimostrino con certezza la concretezza e portata di questo rischio (anzi, a volerla di tutta, come riportato dallo stesso OMS su oltre 75mila casi cinesi di Covid analizzati, non si è riscontrata neppure una infezione riconducibile a questo veicolo). Tutt'al più si sono trovate tracce frammentate di RNA virale in alcuni studi di laboratorio (ma solo in alcuni: altri analoghi non ne hanno rilevate), comunque tracce ben diverse dalla carica virale necessaria per condurre un contagio, delle cui conferme al momento siamo ampiamente carenti. Il sospetto è però verosimile e sta guadagnando trazione, ma in assenza di certezze - soprattutto di fronte a studi molto contrastanti fra loro - normalmente si attendono maggiori evidenze: naturalmente, tuttavia, in una situazione emergenziale come questa non sempre ci si può concedere il lusso di attendere e, talvolta, le misure precauzionali devono essere "azzardate" partendo da dati parziali.

Ebbene, è qui che possiamo cominciare a parlare dei pro e contro dell'uso massiccio delle mascherine simil-chirurgiche. Ponendo innanzi tutto un primo punto che dovrebbe chiudere la questione: se anche si rivelasse concreto il rischio dell'aerosol, indossare una mascherina chirurgica non ci offrirebbe alcuna protezione proprio perché l'agente patogeno sarebbe nebulizzato, e non essendo la mascherina a tenuta stagna quell'agente potrebbe benissimo entrare dai lati proprio in quanto nebulizzato. Resta però l'altra questione: farla indossare a tutti farebbe sì che chi è un malato asintomatico, e quindi inconsapevole, riduca comunque il rischio nei confronti degli altri? In realtà sì, ma a prescindere dalla questione dell'aerosol.

Mascherine per tutti, i pro

A prescindere dall'eventuale veicolo di contagio per aerosol, infatti, c'è una cosa molto banale che sappiamo tutti senza bisogno di test di laboratorio particolari: non solo chi tossisce o starnutisce espelle goccioline. Chiaramente un asintomatico è molto improbabile contagi qualcun altro con cui non ha un rapporto stretto e continuativo (come un familiare), non solo per la rarità e brevità del contatto interpersonale ma anche perché è presumibile che in un asintomatico la carica virale contenuta nelle goccioline di saliva sia più bassa, ma il rischio non è comunque zero: per fare il più banale degli esempi, quante persone conosciamo che anche solo parlando tendono a sputacchiare un po'?
Ecco che dunque se tutti indossassimo una mascherina, quindi anche chi è malato senza saperlo, quel rischio già relativamente basso calerebbe ulteriormente, perché la mascherina ridurrebbe in larga misura anche quelle espulsioni "casuali". Poco importa, dunque, quale studio abbia maggior ragione riguardo la pericolosità dell'aerosol, la mascherina resta sicuramente un presidio utile. Sin qui tutto bene, ma purtroppo ci sono anche dei contro, che sono molti e difficilmente misurabili.

Mascherine per tutti, i contro

Pressoché tutti i contro dell'uso delle mascherine da parte dei malati asintomatici si rifanno ad una questione logistica primaria: abbiamo stabilito che le mascherine chirurgiche possono servire a ridurre il contagio sostanzialmente solo quando indossate dai malati, pur asintomatici, mentre non sono di beneficio particolare ai sani, ma se una persona è asintomatica non sa di essere malata, non lo sappiamo noi e non lo sanno, dunque, neppure le istituzioni. L'unico modo per far sì che tutti gli asintomatici indossino le mascherine è costringere tutta la popolazione a indossarle. E questo può causare un sacco di problemi che possono tradursi persino in aumento del rischio di contagio.

Innanzi tutto per una ragione: noi non sappiamo usare le mascherine. A differenza di popolazioni come quelle asiatiche abituate ad usarle da decenni, la popolazione generale italiana (ed occidentale in generis) non ha idea delle procedure corrette di utilizzo di una mascherina. Occorre lavarsi le mani (a lungo e con completezza) prima di indossarle, occorre non toccarle assolutamente per tutto il tempo in cui le si indossa, occorre non indossarle più a lungo di poche ore, e passate queste ore gettarle rimuovendole sempre stando attenti a non toccarle (normalmente afferrandole solo ed esclusivamente dagli elastici auricolari), quindi lavarsi nuovamente le mani (alleghiamo qui un video dell'OMS, in inglese, che mostra anche visivamente queste indicazioni e procedure).
Avete presente come si comportano i chirurghi nei film e telefilm, dove spesso vediamo addirittura un altro operatore sanitario occuparsi di togliergliele (così come dell'iconico detergere il loro sudore)? Ecco, occorrerebbe una similare attenzione. Altrimenti? Altrimenti si rischia di farsi più male che bene.

E noi purtroppo abbiamo ben visto come la maggior parte della popolazione, alle prese con uno strumento mai utilizzato prima, si comporti nelle maniere più goffe: c'è chi se la tira su e giù più volte, magari addirittura per bere o fumare, chi ne è infastidito (comprensibilmente) e se la tocca in continuazione per sistemarla, e via dicendo. Un esempio di questa goffaggine, diventato famoso a livello nazionale, lo ha dato a favor di camera persino il presidente ligure Toti: possiamo davvero aspettarci dall'oggi al domani imparino tutti i comuni cittadini ad essere altrettanto ligi a queste severe norme comportamentali? A questo si aggiunge un altro problema: il fatto che, a causa dell'estrema scarsità di pezzi disponibili, anziché utilizzarle per 3-4 ore al massimo come si dovrebbe, molte persone riutilizzino le mascherine più volte anche per molti giorni: del resto non hanno altra scelta.

Cosa succede se non seguiamo tutti pedissequamente quelle norme? Che la mascherina rischia di diventare essa stessa un veicolo di contagio molto più accentuato.

Il proverbiale malato asintomatico di cui parlavamo prima, che in condizioni normali e senza mascherina è comunque poco probabile (improbabile seppur non impossibile, ripetiamo) possa infettare un'altra persona magari incontrata in fila al supermercato, ora si trova sulla faccia una mascherina zuppa di saliva, goccioline di muco e condensa respiratoria. Con o senza problema dell'aerosol, dunque, quella mascherina è ora molto probabilmente infetta, piena di goccioline sicuramente con sufficiente carica virale. Se la tocca potrà spargere quelle goccioline con le mani. Se dunque prima quell'asintomatico rappresentava un rischio relativamente basso per chi non fosse un suo convivente o magari collega di lavoro, ora rappresenta un rischio potenzialmente più alto anche per il contatto occasionale.

E i sani a tutti gli effetti? Nel loro caso la mascherina in sé non diventa veicolo di contagio, ma se li spinge - perché li infastidisce - a sistemarsela più volte, ecco che può incentivare le persone a toccarsi più spesso del normale il volto, trasferendovi eventuali goccioline con cui sono venuti a contatto con le mani. Esattamente l'opposto del comportamento che ci è stato ripetuto sempre di seguire.

Vi sono poi altre questioni già toccate dalle istituzioni scientifiche come l'OMS. Se una delle ragioni per cui se ne sconsigliava l'uso massiccio da parte della popolazione era anche quella di evitare - come è successo comunque - di esaurire le scorte di presidi disponibili a chi ne ha veramente bisogno, cioè gli operatori sanitari, un'altra ragione è prevenire un altro ipotetico rischio comportamentale: quello che l'uso della mascherina, a medio termine, spinga le persone a sentirsi più sicure del dovuto, incentivandole ad essere meno rigorose nel rispetto delle norme di distanziamento sociale. Norme che, per quanto esposto sin qui, restano sempre primariamente fondamentali per la riduzione del rischio di diffusione.

Quindi? Mascherine per tutti sì o no?

La risposta più intelligente, ancora una volta nel rispetto dell'in medio stat virtus oltre che delle evidenze scientifiche, è probabilmente un . Perché tutto si gioca sul bilanciamento di diverse proporzioni di riduzione e aumento concorrenziale del rischio di contagio: una misura che da un lato riduce un rischio del 10% ma dall'altro potrebbe aumentarlo del 20 è una misura controproducente, ma ciò non toglie che se è possibile ottenere almeno parte di quel 10% di riduzione senza al contempo un parallelo aumento del rischio allora è il caso di provare a trovare una soluzione intermedia.
Questo è il caso che stiamo analizzando, in quanto per l'appunto un beneficio relativamente piccolo che si verificherebbe plausibilmente facendo indossare la mascherina alla percentuale di popolazione inconsapevolmente malata si scontra col fatto che per fargliela indossare possiamo solo farla indossare al 100% della popolazione, che è potenzialmente impreparata a farlo. Per questo comunque anche le istituzioni come OMS, CDC ed analoghe ci vanno sempre caute e sono sempre pronte ad aggiustare, in conseguenza all'emergere di eventuali nuove evidenze scientifiche, le proprie linee guida, come sta avvenendo in questi giorni. Anche perché è imperativo non lasciarsi trascinare dalla fretta, prendendo decisioni ispirate solo da misurazioni di laboratorio, dimenticando tutte le altre variabili e dinamiche sociali che si verificano nel mondo reale e che purtroppo non sono misurabili e quantificabili in un laboratorio: un eventuale errore in tal senso si dimostrerebbe sempre tale (come è già capitato) solo molto più avanti, spesso quando è troppo tardi.

Ordinanze come quella rapallese che ne obbligano l'utilizzo massivo potrebbero rivelarsi controproducenti: per le ragioni citate sopra oltre che per il fatto che potrebbero costringere ad una "caccia alla mascherina" che può spingere le persone a dover uscire e incontrarsi quando altrimenti sarebbero potute restare a casa come si è ripetuto ad nauseam di fare. Banalmente per andare a cercarle in farmacia. Oltretutto, quando un'ordinanza come quella rapallese propone fra le alternative l'uso di "soluzioni" caserecce come sciarpe o foulard - la cui utilità in termini di filtraggio non può che essere estremamente più bassa di una vera mascherina - rischia di incentivare proprio comportamenti che - esattamente come nel mancato rispetto del corretto uso delle mascherine che abbiamo descritto - possono trasformare quei panni, già di per sé assai poco utili perché appunto banali panni, in un veicolo di contagio.

Di contro è appunto vero che la mascherina se correttamente utilizzata per lo meno in ambienti specifici e controllati può ridurre i rischi (più o meno concreti). Ad esempio, abbiamo capito che farla indossare agli asintomatici cambia presumibilmente relativamente poco fintantoché si tratta di incontrarli brevemente in fila al supermercato (a patto che si rispettino sempre le distanze di sicurezza! Se ciò non avviene anche il supermercato diventa un luogo di raduno sociale dove l'uso della mascherina può diventare di più certo beneficio e dunque da consigliare), ma se l'eventuale asintomatico è seduto alla scrivania a fianco alla nostra al lavoro, tutti i giorni per molte ore al giorno, ebbene, allora effettivamente il beneficio statistico potrebbe diventare ancor più rilevante. Per di più, in ambiente lavorativo o comunque specifico e supervisionato, è assai più facile trasmettere e far rispettare norme comportamentali di uso corretto che invece, per nell'assimilazione da parte dalla popolazione generale nella propria indipendente quotidianità, richiederebbero tempi lunghissimi per essere apprese ed ampiamente rispettate.

Ne consegue che eventuali obblighi dovrebbero essere attentamente valutati e, più ragionevolmente e cautelativamente, selettivamente applicati a condizioni particolari, in cui, in quanto tali, si riduce al minimo il rischio derivato dall'uso massiccio e continuativo da parte della popolazione generale, e si massimizza il beneficio proprio in quelle situazioni dove c'è effettivamente un concreto rischio da poter ridurre. Mentre, nel frattempo, si proseguirebbe così ad educare progressivamente la popolazione ai comportamenti più corretti, anche in chiave futura, e nondimeno si darebbe più tempo a Stati e popolazioni per organizzare un approvvigionamento e distribuzione delle mascherine che eviti che già solo per procurarsele si corrano rischi altrimenti evitabili.

Come citato, i contesti specifici potrebbero essere ad esempio posti di lavoro od esercizi commerciali che non possano garantire il dovuto distanziamento sociale: che è del resto quanto ha preso a suggerire il CDC americano in questi giorni.
Si tratta di un razionale prettamente scientifico: identificare dove una certa misura può massimizzare il suo beneficio per impatto statistico, limitandone al contempo l'applicazione dove, sempre dal punto di vista statistico dei grandi numeri, è invece più alto il rischio di detrimento collaterale.

In ogni caso, come non per nulla continuano a ripetere a spron battuto le istituzioni scientifico-sanitarie, le mascherine non sono una soluzione, possono essere un aiuto in più se utilizzate con senno, ragionevolezza e consapevolezza. Ma il distanziamento sociale - dal restare a casa quanto più possibile al rispettare distanze e norme comportamentali in pubblico - resta l'unico davvero rilevante ago della bilancia, senza alcuna ombra di dubbio scientifico, nell'abbassamento della curva del contagio.

Facciamo dunque attenzione a non prendere le mascherine come un feticcio, quasi superstizioso, da dover indossare a tutti i costi sempre: non lo sono. Ma non sono neanche inutili, se impariamo come utilizzarle e quando utilizzarle. E dovremo comunque imparare a farlo, anche e soprattutto in funzione di un futuro, speriamo vicino, in cui si potrà cominciare ad allentare un poco la morsa delle misure di contenimento, ma nel corso del quale sarà necessario a maggior ragione continuare ad assumere come abitudine comportamenti prudenziali sempre più sistemici.

 

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