Morte di Roberta Repetto, la perizia: "Operazione completamente inadeguata"
Consegnata nei giorni scorsi dal medico legale Francesco Ventura e dell'oncologa Paola Queirolo
Morte di Roberta Repetto, è durissima la perizia del medico legale Francesco Ventura e dell'oncologa Paola Queirolo, incaricati dal giudice delle indagini preliminari per far chiarezza sul decesso della 40enne, avvenuta nell'ottobre 2020. La perizia, depositata nei giorni scorsi, è andata a scavare quanto è successo dopo l'asportazione del neo alla donna, avvenuta al Centro Anidra di Borzonasca nell'ottobre 2018 senza anestesia e su un tavolo da cucina.
La ricostruzione di quanto successo e quell'operazione sbagliata
Per la ricostruzione clinica di quanto è accaduto alla 40enne, oltre alla documentazione medica dei ricoveri, si è proceduto a scandagliare anche le mail e i messaggi telefonici, ricavandone così il quadro clinico sintomatologico e la tempistica degli eventi.
Quel che ne esce è che l'operazione effettuata alla 40enne è stata "inadeguata" e come dice la perizia
" (...) eseguita con modalità inadeguate, esponendo la signora ad un notevole sofferenza per la mancanza di anestesia con anche necessità di punti di sutura e successivo alto rischio di infezione, per l'assenza di un ambiente sterile e idoneo a tale pratica.
Oltre a queste condotte censurabili messe in atto - soprattutto in presenza di una persona abilitata alla professione medica e quindi quanto meno deontologicamente obbligata a tutelare la salute fisica e psichica del paziente anche al di fuori dell'abituale attività - alla signora Repetto è stata negata la possibilità di una corretta diagnosi e contestualmente di una corretta terapia chirurgica o medica e di un adeguato follow up (...)
La presa in cura di una paziente da parte di un professionista medico-chirurgo anche solo per una "medicazione" o una "asportazione" di una lesione cutanea sanguinante avrebbe dovuto essere accompagnata da una corretta e approfondita informazione tra medico e paziente soprattutto in merito alla necessità di effettuare un esame istologico per avere contezza della natura della lesione. Quindi pare evidente che alla signora Repetto sia stata negata ogni chance di diagnosi, cura e guarigione.
Non averla tratta con adeguate terapie nelle fasi evolutive della malattia, ha comportato un significativo acceleramento del decesso"
e ancora:
"Se la paziente fosse stata ben informata in extremis si sarebbe potuto inviare il materiale asportato per l'analisi istologica in un istituto, centro, laboratorio privato".
Tra le centinaia di mail e messaggi, colpisce poi quello del chirugo Oneda:
Roberta chiede: "Quel coso che mi avevi tolto cosa era? Perché dicono che l’origine potrebbe
essere un neo. Neo verrucoso? In caso lo dicessi chi posso dire di avermelo tolto per non
metterti in mezzo?"
Il dott. Oneda, quindi, le risponde:
“Era un nevo verrucoso. Tolto perché
sanguinava perché si grattava e non hai voluto fare istologico.… Non credo ti chiedano chi ha
tolto nevo ma se hai istologico e tu non hai voluto fare istologico. In ogni caso non sei tenuta a
dire chi te l’ha tolto o a ricordare il suo nome se non vuoi dirlo…”.
Una perizia che inchioda ulteriormente le posizioni del medico chirurgo Paolo Oneda, 47 e del santone Vincenzo Bandinelli, 68, accusati entrambi di omicidio volontario con dolo eventuale per la morte di Roberta, avvenuta nell'ottobre 2020.