Il primo guarito del Tigullio

Pendola torna a casa: "20 giorni da incubo"

"Non riuscivo a capacitarmene - racconta - Ma come? Qui a Rapallo non ce l’ha nessuno e lo contraggo proprio io?"

Pendola torna a casa: "20 giorni da incubo"
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"Sono stato catapultato in un incubo. Non riuscivo a capacitarmene. Era una situazione più grande di me, dalla quale non sapevo come sarei potuto uscire".

Così Chicco Pendola, il primo guarito del Tigullio, commenta la sua positiva battaglia col coronavirus, sfoggiando il ritrovato sorriso di chi - dopo giorni interminabili tra letti di ospedale e isolamento domiciliare - ha potuto finalmente riabbracciare la propria famiglia, trasmettendo un importante sensazione di speranza.

"Non so come possa aver contratto la malattia. Ci ho pensato a lungo nei giorni di degenza, ma ancora non sono in grado di darmi una risposta. Le ho pensate tutte: sul lavoro parlando con la gente o magari quel giorno in cui mi sono recato al pronto soccorso di Lavagna dopo una caduta in bicicletta in cui ho riportato la frattura di una costola".

L’incidente, poi la degenza sul letto di casa.

"In quei giorni provavo dolore e assumevo antinfiammatori per placarli - ci racconta - Peccato poi abbia letto che l’assunzione di antibiotici era del tutto sconsigliata poiché poteva rendere più sensibili all’esposizione al virus. Che abbia influito anche questo? Onestamente non lo so".

Nessuna positività ancora, ma l’incubo era in agguato.

"Mi è venuta la febbre. Inizialmente pensavo si trattasse della solita tracheite di cui soffro ogni tanto - prosegue - A un certo punto ho iniziato a pensarci, al virus. Il dubbio mi ha sfiorato per un istante, ma a Rapallo nessuno lo aveva contratto, era mai possibile che lo avessi proprio io?".

Il medico di famiglia gli prescrive antibiotici, ma la febbre continua ad aumentare e supera i 38,5 gradi. A quel punto Pendola viene visitato a domicilio. E qui le prime avvisaglie: un rumorino sospetto nei polmoni induce la necessità di una radiografia che eseguirà all’ospedale di Rapallo.

L’inizio di un incubo

Qualcosa non va. Scatta il protocollo e viene trasferito all’ospedale di Lavagna dove medici e infermieri lo attendono, bardati di tutto punto, nel triage dedicato ai potenziali pazienti Covid-19.

"Mi hanno sottoposto a vari esami e mi hanno fatto subito il tampone. I risultati sono arrivati il giorno seguente: tampone positivo e broncopolmonite - racconta - Da quel momento è iniziato tutto. Sono stato catapultato in un incubo, non riuscivo a capacitarmene. Ma come, sono positivo? Ero dentro a una cosa grandissima da cui non sapevo come uscirne! In ospedale ancora non ci volevo credere. Qui a Rapallo non ce l’ha nessuno e lo prendo proprio io???".

Una manciata di giorni e viene trasferito al reparto malattie infettive dell’ospedale Galliera di Genova.

"I primi due o tre giorni sono stati davvero brutti. Un inferno. Avevo la febbre alta e un mal di testa fortissimo, ma per fortuna sono riuscito ad evitare procedure più invasive".

"Quando si è finalmente abbassata la febbre la situazione è migliorata, stavo meglio e ho iniziato a pensare che forse il peggio era passato".

Cinque giorni di degenza, poi l’ennesimo trasferimento, questa volta all’ospedale Evangelico di Voltri dove, dopo 4 giorni, gli viene eseguito il primo tampone di controllo e viene dimesso. Tornare a casa dalla propria famiglia? Impossibile.

"Non avevo ancora l’esito degli esami. Mi sono quindi isolato in un appartamento gentilmente prestatomi da un amico".

Il referto tanto atteso arriva dopo 6 giorni: è negativo, ma è ancora presto per cantare vittoria.

"A quel punto ho contattato la Asl che ha inviato il proprio personale per eseguire un secondo tampone - spiega - Ho atteso con trepidazione il risultato negativo, che significava via libera, finalmente si può tornare a casa, sano e salvo, contento e decisamente più rilassato".

Affrontare la malattia

"Che dire? È stata una bruttissima esperienza, ma nel male devo comunque ammettere che mi è andata benissimo. Sì, in alcuni momenti ho avuto davvero paura, perché finché non ne esci non sai come andrà a finire - ci confida - La fase più dura sono stati i primi giorni, perché non sapevo se le mie condizioni avrebbero potuto peggiorare. E poi vedevo le notizie al telegiornale che non erano certo incoraggianti. Le immagini di Bergamo, delle centinaia di morti e di quei cortei interminabili di feretri trasportati da colonne militari. Non erano belle immagini e così, io e il mio compagno di stanza, abbiamo smesso di guardare definitivamente i Tg, guardavamo solo programmi musicali per distrarci un po’".

Grazie al personale medico

"Ci sono persone eccezionali che credo non smetterò mai di ringraziare abbastanza - prosegue Pendola - Persone che spero di rincontrare presto, appena tutto sarà finito. Anzi, li andrò a cercare uno per uno per ringraziarli guardandoli negli occhi. Infermieri, dottori, militi. Tutte persone veramente squisite che in un momento del genere, in piena emergenza, trattare le persone così, hanno saputo trattare ogni paziente con un atteggiamento estremamente umano e di continuo conforto. È davvero bello".

E poi ci sono quelle conoscenze che non ti aspetti:

"quando ero ricoverato al Galliera, in corsia c’era anche un’infermiera di Rapallo. Lo so perché è stata lei a riconoscermi - racconta - Del resto io come avrei fatto? Era talmente bardata che non avrei mai potuto intuire fosse lei. È stata una manna dal cielo perché affidandosi a lei, la mia famiglia - che ovviamente non poteva venirmi a trovare - è riuscita a farmi avere alcuni vestiti e prodotti".

Il prossimo futuro

"Non nascondo la mia preoccupazione per una situazione che temo si protrarrà ancora a lungo prima di un rientro graduale alla normalità. Spero almeno che da questa emergenza si possa trarre tutti un qualche insegnamento: che il Governo si attrezzi meglio per poter essere pronto ad affrontare in futuro eventuali situazioni analoghe, e noi tutti a non dare nulla per scontato - conclude - Ora sono tornato a casa, nella mia città. Certo, come tutti non posso uscire e godermi una gradita passeggiata dopo tanta degenza, ma posso sempre andare a fare la spesa e recarmi in ufficio. E poi, soprattutto, sono di nuovo con la mia famiglia".

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