Garaventa, quando i ragazzi di strada finivano a bordo

Con un video di Tabloid, dalla Città Metropolitana la storia di Nicolò Garaventa e del suo percorso pedagogico per i "Garaventini"

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La storia della nave scuola creata nel 1883 per rieducare i ragazzi di strada in una mostra al museo Tubino di Masone.

La storia dell'uscese Garaventa e della sua nave scuola al Museo Tubino

"Se non fai il bravo, ti mando sulla Garaventa!” Questa frase terribilmente minacciosa ha spaventato generazioni di bambini genovesi per un secolo intero, fino agli anni Settanta del Novecento. Ma qual è la storia della nave scuola educativa inventata da Nicolò Garaventa nel 1883? La racconta una mostra in corso fino a Natale al Museo Tubino di Masone, una sede che si spiega col fatto che Garaventa, nato ad Uscio e vissuto a Genova, morì il 4 settembre del 1917 mentre si trovava in villeggiatura proprio nel paese della Valle Stura, stazione climatica molto apprezzata dalla borghesia genovese dell’epoca.

La storia della nave scuola ha origine nella situazione che anche Genova, come le altre città del Nord Italia sconvolte socialmente dalla Rivoluzione industriale, conobbe alla fine dell’Ottocento: il fenomeno dei ragazzi di strada, abbandonati da famiglie sempre più numerose per la forte crescita demografica. Bambini e adolescenti abbandonati, in assenza di un sistema di assistenza statale fatto di scuole e istituti pubblici, finivano a vivere in strada, dove si radunavano in frotte di monelli dediti all’accattonaggio, al teppismo e ai furti.

Nel 1883, a Genova, iniziò quindi l’avventura di Nicolò Garaventa, professore di matematica al liceo Doria che, con qualche rudimentale nozione di pedagogia, avviò un progetto educativo per i ragazzi di strada non ispirato alle conoscenze scientifiche dell’epoca, ma che pure si dimostrò efficace, tanto che durò ben 94 anni, fino al 1977. Garaventa ottenne una nave scuola dalla Marina Militare e svolse qui la sua opera, accogliendo un centinaio di ragazzi all’anno, per un totale di 12.000 nel secolo di attività. I ragazzi, immessi nel severo contesto della disciplina militare fedelmente riprodotta con tanto di divise, gerarchie ed ordini, imparavano a rispettare le regole e apprendevano un mestiere e questo li toglieva dalla strada. La gran parte diventavano marinai.

L’iniziativa di Garaventa ebbe una grande risonanza in città nel periodo della Belle Epoque, e fu sostenuta, anche finanziariamente, dalla ricca borghesia industriale e mercantile genovese divenuta egemone con la Rivoluzione industriale, per la quale i ragazzi di strada erano un po’ un problema sociale sinceramente sentito ma un po’ anche un problema di sicurezza ed ordine pubblico, visto che imperversavano, molestando i ricchi signori, nel nuovo centro cittadino elegante di via XX Settembre, in cui si svolgevano il rito del passeggio e la vita notturna intorno ai caffè e ai teatri.

L’impresa di Garaventa, pur lodevole ed entro certi limiti efficace, divise comunque la comunità scientifica, in particolare venne contestata dal grande scienziato Cesare Lombroso, fondatore della criminologia, con cui Garaventa entrò in polemica e con cui vinse una causa per diffamazione. Senz’altro i principi educativi empirici di Garaventa non coglievano la complessità del problema dei ragazzi di strada, trattati in modo omogeneo senza alcuna considerazione per la loro personalità individuale e per le loro potenzialità. Il principio educativo era infatti la disciplina, mentre il dialogo era totalmente assente, come spiega Tomaso Pirlo, uno degli ultimi educatori superstiti della nave scuola.

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