Giuseppe Oneto, l’alchimista del damasco
Trasforma l’acciaio in vere opere d’arte

Basta imboccare la strada di San Massimo per immergersi in un luogo magico, dove il tempo pare fermarsi come per incanto. E non poteva sorgere altrove, se non qui, a poche decine di metri dai maestosi ruderi di Valle Christi, il laboratorio “mistico” di Giuseppe Oneto, 73 anni, rapallino doc: il forgiatore del Damasco, un uomo intriso di passione e maestria, capace di plasmare il metallo a proprio piacimento, trasformandolo ogni volta in un autentico capolavoro.
Il personaggio
A segnalarci la presenza di questo virtuoso artista nostrano è un amico, Pietro Burzi, anch’egli talentuoso artigiano e profondo estimatore delle creazioni di Oneto. Raggiungiamo il suo laboratorio, avventurandoci (letteralmente - ndr) tra materiali e macchinari di ogni sorta disseminati un po’ ovunque, in quel caratteristico “ordine d’artista” di chi deve assecondare il proprio estro creativo appena lo sente sgorgare. Tra cataste di legna e fasci di metallo scorgo già le sue prime creazioni:
"Ma no... - esordisce venendoci incontro - quelli sono solo degli inutili scarti".
Lo osservo esterrefatto per via di quel che avevo appena osservato, ma la vera magia appare in seguito, tra le mura di casa, dove inizierà a estrarre un incredibile campionario di katane in stile giapponese, asce, stiletti, penatti e coltelli di ogni forma e fattura: da quelli da caccia a quelli da cucina, passando persino per una riproduzione dello scenografico coltello di Rambo 3. Tutti interamente realizzati a mano, con una maestria che gli è valsa numerosi premi e la stima dei tanti collezionisti che hanno potuto ammirare le sue opere in decine di mostre nel nord e centro Italia. Basterebbe già questo per decretarne il talento, ma a far strabuzzare gli occhi è la complessità dei disegni che emergono come per magia dalle lame. Forme ondulate, motivi geometrici, venature e incredibili giochi di luce che trasformano quell’acciaio in un materiale vivente.
"Questo è il mio damasco".
Lo dice con una naturalezza disarmante, come fosse una banale lavorazione e non di l’antica tecnica medievale i cui segreti si sono ormai dissolti nei secoli. La sua passione nasce ammirando i disegni delle antiche doppiette da caccia.
"Un giorno, su una rivista specializzata, mi imbattei in un articolo dedicato proprio ai damaschi - ci confida - Così mi sono messo sulle tracce dell’autore che mi ha messo in contatto con Santino Blestra, di Ventimiglia, il primo in Italia a realizzare il damasco".
"Lo incontrai una quindicina di anni fa e dopo una sua prima spiegazione, mi misi subito all’opera - racconta - Qualche settimana più tardi gli portai a vedere i miei lavori e a quel punto che mi accennò un altro piccolo segreto: come utilizzare acidi necessari a far emergere e risaltare al meglio tutte le venature del metallo".
"Da allora andai avanti sulle mie gambe, cercando di migliorare ogni volta la tecnica" e realizzando da solo i macchinari che riteneva più utili allo scopo, come la pressa o il laminatoio ricavato a partire da una vecchia imbottigliatrice. Per produrre una delle sue creazioni sono necessari circa dieci giorni di lavoro: tutto parte da un pacco di acciaio, formato da diversi strati di durezza differente che ne determineranno i colori. Dopo una forgiatura intorno ai 1200 gradi, il metallo incandescente viene pressato, battuto, ripiegato su sé stesso, battuto e stirato e poi rilavorato ancora dal principio, fino ad ottenere le striature desiderate. A quel punto si può procedere a conferire la forma voluta per poi procedere con le fasi di rifinitura che vanno dalla realizzazione della scanalatura, all’affilatura, realizzazione del manico e del fodero. Oneto sembra essere un uomo in grado di modellare ogni cosa: dalla realizzazione di elaborati parquet, alla passione per la forgiatura delle campane ereditata padre. Insomma, un vero e proprio alchimista dei tempi moderni.


