Dalla Liguria a Londra passando per Roma. Alessio Rupalti, regista genovese con radici profonde nel Tigullio, torna con un nuovo cortometraggio: "Ten to Six", un film ambientato nella capitale inglese ma che parla di legami, dolore e speranza. Un progetto nato per sensibilizzare sul tema della prevenzione del tumore al seno, ma anche per raccontare il lato emotivo e non urlato della malattia.
Alessio Rupalti a Londra, davanti al V&A Museum, con la copia del Nuovo Levante che parla del suo ultimo lavoro
Alessio, partiamo dalle origini. Genova, Roma, Londra: come si è sviluppato il tuo percorso?
«Sono nato a Genova, ma ho sempre avuto un legame profondo con il Levante. Mio nonno ha vissuto a lungo a Rapallo, e da bambino andavo spesso da lui: ho ricordi vividissimi del trenino nei giardini, di fronte alla vecchia Standa. Più tardi, mi sono trasferito a Roma, dove ho iniziato come assistente alla regia. Ho poi scritto e diretto alcuni corti premiati in vari festival, fino al trasferimento a Londra, nel 2018».
Cosa ti ha insegnato vivere all’estero, lontano dalla tua terra d’origine? Pensi che cambiare prospettiva geografica abbia cambiato anche il tuo modo di osservare e raccontare il mondo?
«Andare all’estero, per me, è stato anche un modo per aprirmi. Quando resti sempre nello stesso posto, rischi di diventare “schiavo” delle tue abitudini: ti affidi a ciò che conosci, ti muovi in un perimetro familiare. Ma appena ti allontani, inizi ad apprezzare tutto ciò che prima davi per scontato, dalla focaccia agli affetti. A Londra, invece, c’è il mondo: poche città offrono un mix culturale così ricco. Vivere in città grandi ti mette in discussione. Ti accorgi che il tuo punto di vista non è l’unico possibile, e che ogni parte del mondo ha le sue regole. Non è detto che tu sia sempre dalla parte giusta. La conoscenza, in questo senso, è un’arma potentissima: ti costringe a cambiare prospettiva, ad aprire gli occhi e, forse, a capire un po’ di più anche te stesso. Londra è casa, oggi. Ma resta anche un punto d’osservazione privilegiato sul mondo: una città che ti mette continuamente in discussione. Ti costringe a rivedere le tue certezze, a capire che esistono infiniti modi di guardare le cose. Per me il cinema è questo: uno sguardo che attraversa confini, ma che non smette mai di tornare a casa».
Prima di iniziare questa intervista mi accennavi a “Luca”, celebre cartone Pixar ambientato nella nostra Liguria. Cosa avete in Comune e quanto conta la Liguria nel tuo sguardo registico?
«"Luca" è un film che mi ha colpito profondamente, al di là del suo essere un prodotto di intrattenimento. C'è una bellezza profonda in quella storia, accessibile a tutti ma capace di toccare corde molto personali. Mi ha insegnato più di quanto mi aspettassi. Vedere rappresentata la Liguria, il gusto del pesto, quel tratto di rotaie che esce dalla galleria e si affaccia sul mare, mi ha dato una sensazione fortissima: quella di essere a casa, mi ha ricordato il mio tragitto del ritorno da Roma verso Genova. Quel cartone animato riesce a legarmi ancora di più alla mia terra. Difende la diversità in ogni sua forma, celebra l’amicizia, mostra la bellezza da più punti di vista. In un certo senso, nei film che scrivo cerco di portare quel tipo di sguardo: cosmopolita, ma radicato. Amo l’Italia, sono orgoglioso di essere ligure, e ogni volta che posso cerco di mostrare e raccontare quella terra che sento mia. La Liguria per me è mare e orizzonte. E il mare, per chi cresce tra Levante e Ponente, è una presenza continua. Ti insegna la vastità, l’idea che esista qualcosa oltre. Ma c’è anche quella sensazione di apertura che oggi trovo più fuori che dentro: qui riesco a respirare. E a vedere il mio passato con più lucidità».
Parliamo di “Ten to Six”. Come nasce questo cortometraggio?
«È un cortometraggio di finzione nato con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico sull’importanza della prevenzione del tumore al seno. È una storia profondamente umana, che esplora le conseguenze emotive della malattia, in particolare per chi resta. Il messaggio del film è molto chiaro, in questo caso hai offerto un punto di vista particolare Con “Ten to Six” ho voluto dare il mio piccolo contributo, offrendo un punto di vista meno esplorato: quello di un uomo che, nel dolore per una perdita, affronta la colpa e il rimpianto di non aver fatto abbastanza. Il tumore al seno è tra i più diffusi al mondo, soprattutto tra le donne. Se diagnosticato precocemente, è spesso curabile. Tuttavia, nel 50–80% dei casi viene individuato troppo tardi. Per questo motivo, la prevenzione è fondamentale per ridurre i decessi».
(foto backstage di Michele Giacci)
Chi sono gli attori coinvolti?
«Il cast è composto da attori professionisti britannici: Gerard Bell nel ruolo del Old Man, Charlie Wright nei panni di Sam e Georgia Polly Taylor nel ruolo di Anne. Il progetto ha coinvolto anche diversi professionisti del settore cinematografico londinese, che hanno contribuito con grande passione e professionalità».
Ci sono altri temi dietro questo corto?
«Sì. Il film parla di assenza, senza mostrare la violenza. Parla anche di relazioni familiari e di prevenzione, ma non con toni retorici. Non volevo una storia drammatica in senso classico, piuttosto un invito a non rimandare, a parlarne. In tanti, dopo aver conosciuto il progetto, si sono aperti. È incredibile come a volte basti poco per creare connessioni. Le riprese si sono svolte in un appartamento a Whitechapel e al cafè Corner New Cross, vicino a New Cross Gate. Sono location che ho scelto per la loro forte rilevanza narrativa e che hanno catturato sin da subito il mio interesse. Ho riconosciuto in quei luoghi gli spazi ideali per ambientare questa storia».
C’è stato sostegno locale durante le riprese?
«Sì. Voglio ringraziare in particolare Elisabeth, la padrona di casa, e i proprietari del caffè, Mark e Tarek, per aver creduto nel progetto sin dal primo momento e aver messo a disposizione gli spazi con entusiasmo e generosità. Un'altra collaborazione che va menzionata è quella con Eataly, che ha curato il catering durante tutte e tre le giornate di ripresa, offrendo prodotti tipici italiani di alta qualità».
A che punto siete nella lavorazione del film?
«Il film è stato reso possibile grazie alle donazioni raccolte sulla piattaforma GoFundMe, che è tuttora attiva per raccogliere i fondi necessari a sostenere i costi della postproduzione (alla voce “Short Film on Breast Cancer Prevention”),. Attualmente è dunque in fase di montaggio. ed è già disponibile il teaser ufficiale e continuiamo a raccogliere fondi. Poi la prima destinazione saranno i festival».
Cosa ti auguri che lo spettatore porti con sé, dopo aver visto “Ten to Six”?
«Mi auguro che il film lasci uno spunto di riflessione profondo, ma senza forzature. Vorrei che chi lo guarda sentisse il bisogno di parlarne, magari con una persona cara, e capisse quanto sia importante non rimandare. La prevenzione non è solo un atto medico, è anche un gesto d’amore verso se stessi e verso gli altri. Se “Ten to Six” riuscisse anche solo a innescare una di queste conversazioni, allora avrà avuto senso».