Al "Natta - De Ambrosis" il toccante incontro con Giuseppe Costanza
Sopravvissuto alla strage di Capaci, è stato l'autista di Giovanni Falcone
È stato toccante l’incontro che, a Sestri Levante, hanno avuto gli studenti di alcune classi quarte e quinte dell’istituto di istruzione superiore “Natta - De Ambrosis” con Giuseppe Costanza. L’evento è avvenuto oggi, lunedì 28 novembre, nell’ambito del Progetto di Istituto di Educazione Civica - Cittadinanza e Legalità.
Chi è Giuseppe Costanza
Giuseppe Costanza è stato autista negli ultimi otto anni di vita di Giovanni Falcone, ovvero dal 1984 fino al giorno della strage avvenuta a Capaci, a poca distanza da Palermo, il 23 maggio 1992.
Giuseppe Costanza, dipendente del Ministero di Grazia e Giustizia, aveva 45 anni quando rimase coinvolto nell'attentato mafioso, nel quale persero la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Costanza, pur viaggiando in auto con Falcone, si salvò.
Da diversi anni, Giuseppe Costanza è impegnato a promuovere il contrasto alle mafie e l'educazione alla legalità con progetti e incontri nelle scuole.
L’incontro e le parole di Costanza
«Il silenzio è Mafia, quando vedete qualcosa che non va denunciate. E da grandi mantenetevi persone corrette, non scendete a compromessi»
ha detto Costanza ricordando i momenti tragici di quel 23 maggio 1992 quando era seduto sul sedile posteriore, perché Falcone aveva voglia di guidare. Giuseppe Costanza oggi ha 75 anni ed è testimone della strage di Capaci del 23 maggio 1992.
L'ultimo scambio di battute con il magistrato è stato sulle chiavi della macchina: Costanza aveva detto a Falcone di ricordarsi di dargliele una volta arrivati, il magistrato distrattamente le aveva sfilate, facendo rallentare la macchina di qualche secondo, ma non tanto da scampare all'esplosione.
«Sono gli ultimi momenti che ho memorizzato, dopo il buio. Non sapete - ha detto rivolto ai ragazzi - quanto mi hanno fatto pesare il fatto che io fossi seduto dietro, se avessi guidato io, lui si sarebbe salvato. Ne sarei stato felice, avremmo avuto un'Italia diversa, perché lui sapeva dove mettere mano».
«Vedo che i giovani di oggi hanno un'attenzione particolare all'antimafia. E questo mi fa piacere perché raccontando, informandoli su tutto quello che è avvenuto, possono maturare per quando chi fra loro andrà ad occupare dei posti di responsabilità nella Pubblica amministrazione o altre istituzioni, possono applicare una corretta gestione che finora non c'è. Io ci credo ai ragazzi, la mia vita ormai non è più in salita ma in fase calante. I ragazzi invece devono stare attenti per il loro futuro affinché non si sviluppi più questa maledetta mafia».
«Quando Giovanni Falcone mi chiamò nel suo ufficio era il 1984. Lavoravo all'accoglienza dell'Ufficio istruzione del tribunale di Palermo, lui mi aveva osservato per un po' di tempo e quel giorno mi chiese: “Vuoi essere il mio autista?”. Dissì di sì».
«Fino a quel momento la mafia vera non sapevo nemmeno cosa fosse: la vivevo come un cittadino qualunque, ero convinto che portasse dei panni più grezzi rispetto a quelli che il giudice ha mostrato. “Menti raffinatissime”, come le chiamava lui. Da quando sono salito su quell'auto, invece, ho capito cos'era. Le sentivo le voci della gente, quando passavamo a sirene spiegate, che dicevano: “Ma non li possono fare vivere tutti in una caserma questi giudici?”. Ma sapevo che stavamo facendo il nostro dovere».
«Falcone - ha raccontato ancora Costanza agli studenti - non era mai a riposo, quando non partiva si andava in ufficio e ci rimaneva fino a tardi, quando tutti erano andati via. La mattina presto lavorava a casa, e la dottoressa Morvillo collaborava tantissimo».
«Del dottor Falcone, il ricordo più dolce che ho sono le mattine a casa sua. Di solito un autista non entra in casa, ma il giudice aveva fatto delle “indagini” su di me e aveva scoperto che nella mia vita precedente - prima di lavorare in tribunale - ero un parrucchiere. Siccome per lui era troppo pericoloso uscire per farsi barba e capelli, aveva chiesto a me. Lo feci per otto anni. Quando suonavo il campanello, comparivano lui e la moglie in vestaglia. Poi la dottoressa Morvillo scompariva e si ripresentava due minuti dopo dicendo: “Ecco il caffè”. Erano questi. Persone normali».
Dopo l'attentato Paolo Borsellino, era andato a trovare Costanza in ospedale.
«Ha preso degli appunti sulla sua agenda. Il 19 luglio purtroppo hanno fatto saltare in aria anche lui, e la sua agenda è sparita. Non si doveva abbandonarlo, non si doveva permettere che avvenisse un'altra strage, lo sapevamo tutti».
Dopo l'attentato Costanza vive un percorso particolare.
«Dopo 18 mesi di malattia, sono tornato in tribunale e mi aspettavo un'accoglienza diversa. Invece, non riuscivano a trovarmi un posto, una mansione. Mi facevano fare il tappabuchi, a volte ho pensato che in questo paese è una disgrazia se rimani vivo. E in più, per 23 anni non ho ricevuto nessun invito alle commemorazioni di Capaci. Eppure, io sono l'unico sopravvissuto su quell’auto. Ti chiedi, ti richiedi perché. Alla fine, dopo trent’anni, l'unica spiegazione che ti dai è che devi trovare dentro di te il senso e la voglia di dare una continuità a quell'esempio».