Morte di Marco Corvisiero, alla lettera dei famigliari risponde uno degli accusati
Ad otto anni dall'incidente in cui il maestro di sci perse la vita, in risposta alla lettera della famiglia ci scrive l'allora responsabile del Soccorso Alpino: «Esiste anche un altro aspetto della vicenda fin’ora da tutti noi volutamente taciuta»

Ci scrive Marco Bedini, uno dei tre imputati assolti in primo grado per la morte di Marco Corvisiero (nella foto) avvenuta otto anni fa a Santo Stefano d'Aveto: lo fa in replica alla lettera della famiglia da noi pubblicata. Riportiamo anche in questo caso il testo in maniera integrale.
La lettera di Marco Bedini
Desidero rispondere alla lettere pubblicata dai famigliari del povero Marco che otto anni fa ha tragicamente perso la vita nel comprensorio sciistico di S.Stefano d’Aveto. Mi sembra doveroso, nel massimo rispetto del dolore di chi ha perso una persona cara, far sapere che esiste anche un’altro aspetto della vicenda fin’ora da tutti noi volutamente taciuta. Per tutti noi intendo i volontari del soccorso alpino dei quali all’epoca dei fatti ero responsabile e come tale accusato di aver concorso a cagionare la morte di Marco insieme al mio vice.
In tanti anni di attività nel soccorso alpino abbiamo salvato centinaia di vite umane che, per passione o professione, si trovavano in difficoltà tali da richiedere il nostro intervento. Il soccorso alpino e speleologico non si occupa di emergenze ordinarie, che possono essere risolte con le normali forze in campo, ma si occupa d’interventi straordinari in ambienti impervi e molto spesso estremi dove le normali risorse di uomini e mezzi non possono arrivare. Forse è giusto chiedersi: chi sono e perché lo fanno se questo vuol dire mettere a repentaglio la propria vita per gli altri? Sono volontari specializzati in questi tipi di operazioni che si addestrano puntualmente con le stesse identiche procedure che vengono richieste a chi lo fa nelle grandi alpi da ormai un secolo. Persone: padri di famiglia, mariti, operai, studenti che sono periodicamente esaminati e continuamente addestrati affinché in caso di bisogno possano essere a disposizione gratuitamente di chi si trova in difficoltà. Persone che hanno deciso di dedicare la propria esperienza e passione per la montagna al prossimo il più delle volte rinunciando al proprio tempo libero o al pranzo di natale con la famiglia perché di loro in quel momento c’è bisogno.
Anche quel giorno ognuno di noi ha smesso di fare quello che stava facendo per correre in aiuto di Marco. Sono passati in silenzio dettagli come l’elicottero dei Vigili del fuoco, ai quali va la mia ammirazione per il tentativo disperato di portare soccorso, che è precipitato rischiando la vita di tutto l’equipaggio; è passato in silenzio il fatto che l’elicottero dei vigili del fuoco inizialmente era impegnato in un altro intervento e per sopperire e portare velocemente le squadre sul posto abbiamo fatto intervenire un elicottero privato pagato dai singoli volontari 3.500 Euro; è passato in silenzio che, nel disperato tentativo di portare velocemente il personale sanitario del 118, la motoslitta si è ribaltata e l’infermiere si è ferito; è passato in silenzio che uno dei nostri soccorritori mentre tentava di rianimare Marco piangeva ma continuava anche se non si sentiva più le dita delle mani. Per noi tutto era giusto passasse in silenzio perché siamo stati da sempre abituati così : prima di tutto per noi viene chi ha bisogno.
Eppure tutto questo è accaduto “in un comprensorio grande come un fazzoletto”troppo spesso sottovalutato ma che ogni tanto si porta via qualcuno. Abbiamo vissuto molte esperienze nelle quali non ce l’abbiamo fatta: ricordo qualche anno fa sul monte Aiona in piena bufera di neve ne abbiamo portati in salvo 15 ragazzi che come Marco era li per trascorrere una giornata di piacere. Ci abbiamo messo tre giorni e tre notti ma purtroppo uno di loro non ce l’ha fatta; diversi di noi per giorni sono stati male. Potrei citarne a centinaia ma non è mai stato nel nostro stile; il più delle volte non ne parliamo nemmeno a casa. Ogni intervento che non riesci a concludere come vorresti è un dispiacere, un amaro in bocca una sconfitta professionale ma prima di tutto umana. Anche il corpo nazionale soccorso alpino e speleologico ha perso tanti giovani durante i soccorsi; ragazzi che finito l’intervento avevano chi li aspettava a casa ma non sono mai più tornati.
Il lavoro del soccorritore a qualunque livello va apprezzato perché nella società di oggi è un valore aggiunto che non è per tutti. Lo dimostra il fatto che è sempre più difficile trovare giovani che si vogliono avvicinare a questo mondo. Non ho rancori o rimorsi di coscienza per quanto accaduto solo un grande dispiacere perché è mancato un ragazzo ma so che ognuno di noi in quel momento ha dato tutto ciò che poteva. Certo col senno di poi possiamo diventare tutti cattedratici basta avere il tempo per pensare e riflettere con calma; il soccorso non ti da questo tempo ma ti dice di sbrigarti e fare presto. Come ha detto qualcuno: la vita si scrive in brutta copia ma purtroppo non ti da il tempo di ricopiarla in bella.
Marco Bedini
Ex capo stazione
Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico